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Il "trinese" Aldo Dolcetti racconta gli anni alla Juve

L'ex giocatore poi nello staff tecnico di Allegri si racconta.

Il "trinese" Aldo Dolcetti racconta gli anni alla Juve
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Nella foto Aldo Dolcetti con Cristiano Ronaldo alla Juve.

Dopo 5 anni intensi alla Juventus, nello staff di Massimiliano Allegri, Aldo Dolcetti, si è concesso un anno sabbatico in attesa di rientrare in gioco con ancora più energia. Aldo, nato il 23 ottobre (giorno di Pelè) 1966, ha passato la sua gioventù a Trino, ove ha ancora molti amici.

I primi calci a Trino

Le prime esperienze calcistiche sono nell'Orsa e poi nell'AC Trino. Tra i suoi allenatori, spicca il maestro Cisiu (Tarcisio Tavano). A tredici anni, gli osservatori della Juventus si accorgono di lui e lo portano a Torino, dove rimane per sei anni. Impara molto dai suoi allenatori: Sentimenti IV, Viola, Grosso, Salvatore Jacolino e Giovanni Trapattoni. Nelle ultime due stagioni è in orbita prima squadra. Viene poi mandato a fare esperienza a Novara in Serie C2, con cui sfiora la promozione (passa il Derthona). L'anno successivo (1987) passa al Pisa in Serie A dove rimane per quattro stagioni. Gioca tra gli altri proprio con Allegri, Dunga, Simeone, Cuoghi, Sclosa, Faccenda, Piovanelli, Argentesi, Padovano, Incocciati, Neri, Chamot.

L'esperienza con i bianconeri

Aldo, com’è stata la tua esperienza in questi 5 anni di Juventus? Per te è stato come un ritorno a casa?

«Sono stati 5 anni molto intensi e incredibili se pensiamo ai risultati. Quando Allegri mi ha cercato, io non ho accettato subito perché ero ancora legato al Milan con un progetto importante per il settore giovanile di cui sentivo la responsabilità, ma poi ho messo sul tavolo i pro e i contro delle due situazioni. Aver trascorso da ragazzo ben 6 anni alla Juventus mi ha spinto a ritornarci per essere artefice di qualcosa di importante da allenatore. Anche se sono stato completamente dietro le quinte, la soddisfazione è stata ugualmente enorme perché credo che il mio contributo sia stato apprezzato da Allegri e dal Club. Con Allegri ho iniziato un percorso che all’inizio aveva un preciso obiettivo, ossia che lui diventasse un allenatore di livello mondiale. Qualcosa alla Juventus è stato fatto, di sicuro dal punto di vista dei risultati. Per me anche per come abbiamo utilizzato i giocatori, per come abbiamo variato modo di giocare e soprattutto per la bravura di trovare sempre strade diverse per ripetersi a vincere sempre in ogni stagione».

Ti pesa la scelta di non stare sotto i riflettori, come quando hai allenato l'Honved di Budapest, la Spal o la Primavera del Milan?

«Ero un calciatore di un certo tipo e sono allo stesso modo un allenatore di un certo tipo. Mi piace creare ed essere più un rifinitore che un goleador. Le esperienze fatte da allenatore sono state entusiasmanti, ma devo dire che sono stato io a decidere e a pianificare quello che sto facendo oggi, ossia ufficialmente il Collaboratore tecnico di Allegri. Aver fatto anche l’allenatore in prima persona mi sta aiutando a capire meglio tutto e poco importa se non sono visibile. In un club di alto livello è obbligatorio che in prima pagina ci siano soltanto il presidente, il direttore, l’allenatore e i giocatori».

Carriera da mister? Mai dire mai

Escludi la possibilità di riprendere una carriera “solista”?

«Mai dire mai. Nel caso mi dovessi trovare in futuro nella situazione giusta, sarei pronto anche a ritornare ad allenare in prima persona. E sarei molto in gamba!!! In pratica però oggi vorrei continuare quel percorso di crescita che Allegri e il suo staff vuole portare avanti nei prossimi anni».

Platini e Dunga i compagni più famosi

Qual è il migliore giocatore con cui hai giocato in squadra?

«Magari non vale perché ero solo un ragazzo con poche oggettive possibilità di trovare spazio, ma mi viene da dire Platini anche se appunto non era un compagno di squadra alla pari. Durante la mia vera carriera, dico invece Carlos Dunga perché un brasiliano atipico con tanto temperamento e mentalità vincente».

Maradona l'avversario più grande

Quale è il migliore giocatore che hai incontrato sui campi da gioco?

«Non c'è dubbio che sia stato Maradona perché era già uno spettacolo vederlo prima della partita nel corridoio o nella palestra dove allora si faceva spesso il riscaldamento. In campo poi era un fuoriclasse di tecnica e velocità che significavano creatività all'ennesima potenza».

L'incontro con Cristiano Ronaldo

Come si fa ad allenare Cristiano Ronaldo?

«La scorsa stagione mi ha permesso di capire cosa significa essere sempre il numero 1. Cristiano è così soprattutto perché è competitivo ogni giorno. Vuole in ogni allenamento segnare gol, vincere ed essere il migliore. Con lui dal primo giorno ho instaurato un buon rapporto e credo che allenare un fuoriclasse come lui sia semplice. Basta sentirsi adeguati e avere una mente che viaggi almeno come la sua».

Disoccupato di lusso

Cosa hai fatto in questi mesi da disoccupato di lusso?

«Quando la scorsa estate Allegri ha subito pensato all'idea di stare fermo per l'intera stagione, io ho pensato di investire questo tempo in un preciso obiettivo: migliorare la lingua inglese e conoscere meglio il calcio inglese. Per questo motivo da settembre mi ero trasferito in Inghilterra dove da oltre tre anni c'è mio figlio Lorenzo. Devo dire che è stata un'altra grande esperienza vedere un sacco di partite di Premier League e Championship, oppure incontrare manager e staff per un confronto a 360°. Tutto però è ovviamente terminato agli inizi di marzo a causa del coronavirus».

La vita nell'emergenza

Come stai invece vivendo questa situazione riguardante questo problema mondiale?

«Sono in ritiro a casa mia in provincia di Pisa con mia moglie Cristiana, mia figlia Adele e il nostro cane Mirò. Siamo in campagna con tanta terra, per cui siamo isolati bene, anche se la situazione è surreale e allarmante. Io voglio vedere il bicchiere mezzo pieno per cui dico che questa è anche l'occasione per comprendere l'importanza di alcune cose. Penso ai rapporti interpersonali anche se oggi si possono avere a distanza grazie alla tecnologia. Penso sia giusto apprezzare cose un po' dimenticate come la lentezza, i lavori manuali, il gioco e la semplicità. Sono ottimista: questa esperienza darà slancio a tutti per ritornare alle normali attività lavorative con più motivazione».

Riccardo Coletto

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