Sbarco sulla luna: un Amarcord "spaziale" vercellese

Sbarco sulla luna: un Amarcord "spaziale" vercellese
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Sbarco sulla luna: un Amarcord "spaziale" vercellese. La famiglia Gaviglio negli anni Settanta ascoltava gli astronauti e osservava le stelle.

Sbarco sulla luna: un Amarcord "spaziale" vercellese

In occasione dell’anniversario dello sbarco sulla luna fra le testimonianze di Vercellesi su quei giorni spiccava il ricordo di Dario Gaviglio della passione astrofila del papà Sergio. La famiglia Gaviglio ha legato il proprio nome all’archeologia, conseguendo una serie impressionante di scoperte e conducendo tante battaglie a difesa di siti e reperti vercellesi. Però Sergio Gaviglio, da persona assetata di sapere, non cercava risposte solo sotto terra, ma anche fra le stelle.

Il "radiotelescopio"

Nella foto la parabola nel giardino di casa Gaviglio. Da sinistra si notano: Fiore Marangoni e Pietro Cesari dell’officina Sagma, l’elettronico Ernesto Bellomo, Sergio Gaviglio, Nerino Gibin e Daniele Gaviglio.

«Papà - racconta Dario Gaviglio - aveva realizzato, con la collaborazione di Ernesto Bellomo per l’elettronica, una specie di “radiotelescopio”, cioè un’antenna parabolica, montata su un supporto alto 3 metri e mezzo e il ricevitore radio. Lo avevamo già prima della missione “Apollo 11”. Ricordo che appena dopo l’installazione captavamo i messaggi della Digos e di altre forze dell’ordine... Poi insieme a Bellomo, erano riusciti a filtrare ogni interferenza terrestre. Così papà captò più volte sia le comunicazioni degli astronauti americani che di quelli sovietici. Della missione lunare intercettò una conversazione con Houston, ma nella fase di ritorno della navicella.

In collina per osservare le stelle

In quegli stessi anni, fine Sessanta e inizio Settanta, papà aveva realizzato anche un telescopio ottico portatile. Le ottiche erano d’alto livello, fornite da un istituto astronomico di Firenze di cui all’epoca faceva parte Margherita Hack la grande astrofisica, con cui Sergio ebbe anche una fitta corrispondenza. Una volta le aveva chiesto se aveva “visto” Dio e lei rispose «Di Dio in cielo non c’è traccia, come non ce n’è dei dischi volanti».
Questo telescopio lo portavamo sul porta pacchi dell’auto e più di una volta ci fermarono i carabinieri insospettiti da quella specie di “cannone”. I luoghi preferiti per le osservazioni erano le colline vicino a Camino, in Monferrato. Le osservazioni più belle erano quelle di Saturno con i suoi anelli, ma anche la luna era una meraviglia si vedeva la superficie con un’ottima risoluzione. Ora non ricordo esattamente se fosse la prima o altre missioni lunari... ma una sera puntò il telescopio in un’area di allunaggio e vide come un’ombra che poteva essere il Lem in fase di discesa».

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