Marco Mattiuzzi: un romanzo di 770 pagine per rompere le catene

L'autore vercellese racconta la sua particolare narrativa incentrata sui personaggi.

Marco Mattiuzzi: un romanzo di 770 pagine per rompere le catene
Pubblicato:

“Il marchio della libertà”. Un romanzo di 770 pagine che ha comportato due anni e mezzo di lavoro ed è ora disponibile su Amazon. Il vercellese Marco Mattiuzzi ha all’attivo già numerosi saggi e un altro romanzo, ma che fosse anche uno scrittore capace di un’impresa del genere è una novità. Fotografo di un certo livello, ora artista digitale, fra l’altro la copertina del libro è una sua creazione, ha lavorato nel settore del web, cura alcuni siti e pagine Facebook di carattere culturale e collabora con il nostro giornale.

L'intervista

Marco, di cosa parla questo libro?
«Lo definirei di ambientazione storica, non un romanzo storico, perché la narrazione si focalizza sulle vite di persone comuni e non su fatti storici. I protagonisti una mamma con tre figli, vivono nella Britannia del I secolo dopo Cristo, durante l’invasione delle legioni romane. Vengono strappati al loro focolare e fatti schiavi. A Roma passeranno da diversi proprietari, che hanno pure loro un ruolo nella narrazione. Riusciranno nonostante tutto a trovare un posto nella società romana, scoprendo opportunità impensabili. E’ uno studio sulle relazioni fra le persone».

Ma come mai quest’ambientazione?
«Personalmente la passione per la storia si concentra nel periodo medievale, quando mi è venuta in mente la trama del nuovo libro, il perché onestamente non lo ricordo più, mi interessava entrare in questi personaggi strappati dalla loro vita tranquilla. Poi sottolineerei che non tutti i romani la pensavano allo stesso modo e anche nel “sistema” della schiavitù si affermarono delle condotte più umane verso gli schiavi e questo processo è descritto».

E’ stata complessa la documentazione?
«In realtà non tanto, non occupandomi di imperatori, di battaglie... Ma è stato molto utile condividere quesiti o dubbi con la community di esperti ed appassionati di Impero Romano sul social “Quora”, dove non ci sono “leoni da tastiera”, ma persone civili che condividono passioni comuni».

Parlando con Marco del romanzo si capisce anche un aspetto importante, la sua estrema attualità. Sono passati due millenni, ma ancora troppe famiglie sono disperse da guerre e genocidi e la schiavitù ha preso nuove forme.

«Direi che la storia che racconto vale per tutti gli apolidi, profughi ed emigranti di ogni epoca. Costretti a lasciare la loro casa per un altro luogo, eppure in quel posto in cui devono ricominciare trovano spesso anche opportunità di cambiamento e crescita».

"I miei personaggi le sento presenti con me"

Ma questo non è il primo romanzo, vero?
«No… trent’anni fa ne avevo scritto uno dal titolo: “La palude”, si svolge in un’estate a Chioggia e parla di un ragazzino lasciato per un periodo dalla zia e che fa delle nuove amicizie. Si trova tuttora su Amazon. Ma ne sono in gestazione altri… Uno ormai solo da rivedere ha un protagonista che ad un certo punto decide di non parlare più, non è autistico, a scuola va bene, ha delle relazioni, ma non parla… Il difficile è immedesimarsi e cercare di spiegare come faccia a vivere così. Sono anche a buon punto con un fantasy medievale. In ogni caso i miei romanzi sono sempre di tipo psicologico, sulle persone, non su intrecci di vicende. La cosa strana è che finisco quasi per vedermeli seduti accanto, i miei personaggi, li sento presenti e a volte si lamentano per come li tratto... Mi immedesimo molto nelle loro vite».