Amarcord

La strana guerra di Ermede Musso

I ricordi del 99enne vercellese imbarcato su un dragamine della Regia Marina.

La strana guerra di Ermede Musso
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Nelle foto Ermede a 18 anni e ai giorni nostri e una foto del dragamine su cui prestava servizio.

A 18 anni, in meno di dieci giorni, da Vercelli si ritrovò al fronte durante la Seconda Guerra Mondiale, imbarcato su un dragamine, senza avere più notizie dei propri cari per quasi 4 anni.
Questa è la storia di Ermede Musso vercellese doc che compirà 99 anni il prossimo 16 agosto e che con la sua lucida memoria riesce a ripercorrere le tappe salienti della sua guerra.

Una dura punizione

«Venni destinato a La Spezia, nella Regia Marina, ma dopo 4 giorni mi trasferirono a Venezia nella prigione militare per punizione, poiché in mensa avevo picchiato un altro marinaio dandogliele di santa ragione: questo perché non riuscivo a subire soprusi. A Venezia rimasi circa dieci giorni, poi mi trasferirono direttamente al Pireo, in Grecia. Qui restai per tre anni e mezzo sempre imbarcato, scoprendo solo successivamente che era sempre per punizione».

La giornata tipo

La «giornata tipo» a bordo era più che faticosa: «Io ero un motorista navale in sala macchine; in quel contesto ho imparato tante cose: a soffrire, a piangere e a formarmi. Ho navigato con il mare calmo, mosso e agitato; i turni erano di quattro ore di lavoro e quattro ore di riposo a rotazione.

In sala macchine quando il mare era tranquillo si stava bene, ma quando era mosso o agitato navigando venivamo fatti rotolare a terra in un attimo. All’interno della sala c’erano delle temperature incredibili.

Quando c’era il mare agitato si formavano onde di 4/5 metri d’altezza e il nostromo continuava a chiedere potenza ai motori che erano già al massimo, lo facevano per salvarci dalle onde, i manometri erano al massimo e noi dovevamo sfiatare da una parte e dall’altra.

In sala macchine eravamo in quattro per turno, c’era gente preparata e altri impreparati, soprattutto quelli nuovi. Io ho imparato in fretta, mi sono fatto subito le ossa. C’era il capo macchina che era un maresciallo molto bravo, esperto e che ci ha aiutato molto, anche a me ha aiutato molto, un padre di famiglia che conosceva i motori come le sue tasche, era un ligure che aveva trascorso la vita in mare».

Si dormiva fra i macchinari

Vercelli

 

«Durante i turni di riposo non andavamo in branda, perché non avevamo tempo, ma ci portavamo il cuscino e dormivamo lì sul posto - continua Musso - anche i pasti quando eravamo in servizio venivano consumati sul posto. Se avanzava qualcosa di solito lo mangiavamo freddo; era cibo pietoso e non c’erano forchette, coltelli e cucchiai. Solo il giorno di riposo che arrivava ogni quattro di servizio, ci potevamo rifocillare: stando in branda a recuperare la stanchezza accumulata e consumando i pasti tranquillamente in mensa».

Quella mina provvidenziale

Ma ecco l’episodio che gli cambiò la vita, permettendogli di ritornare a casa dopo tre anni e mezzo.

«L’ufficiale mi disse che potevo lasciare la nave perché era da tanto tempo che ero a bordo. Mi sbarcò al Genio navale. Un giorno, ricordo che era una domenica, mi trovavo a spasso con altri marinai al porto del Pireo. Quello militare e quello civile erano adiacenti, mentre stavamo parlando tranquillamente, sentiamo suonare una sirena, poi un’altra e poi diverse altre ancora, arrivando ad essere venti o trenta sirene che suonavano insieme. Abbiamo immediatamente capito che era successo qualcosa di grave. A un certo punto arriva una jeep della Marina militare che ci avvisa che era stata segnalata una mina magnetica attaccata allo scafo di una nave militare italiana.

Quell’imbarcazione era carica di materiale bellico e quindi se fosse esplosa sarebbe capitato un disastro e avrebbe coinvolto anche le abitazioni civili nei pressi del porto. Partimmo in 6 per disarmare la bomba. Abbiamo smontato mezza nave, quando a un tratto vidi che c’era una patacca nera sul fianco della chiglia. Ebbi un’idea tutta mia: presi il manicotto dell’acqua e bagnai il timer dell’ordigno che si spense. In seguito a questo mio gesto ebbi una licenza premio che mi permise di tornare a Vercelli: era il 1944».

Anni molto duri

Erano isolati ed è stata un’esperienza veramente dura che lo ha forgiato. «Quello che ho sofferto e patito, mi ha fatto diventare presto uomo. Non c’era la possibilità di comunicare con i propri cari: per una lettera ci volevano 3 o 4 mesi e poi essendo sempre in navigazione non avrebbero potuto recapitarcele. Ho fatto esperienza e mi sono formato: imparando, imparando, imparando…

Eravamo in 40 imbarcati sul dragamine Albona, ci spostavamo su tratti di mare infestati da mine, in zone pericolosissime. I palombari avevano il compito di disinnescarle e noi le recuperavamo. Erano molto attenti in queste operazioni, infatti non sono mai capitati incidenti. Ai tempi non c’erano i corpi speciali, ma dei militari preparati fisicamente, bravi in mare nelle immersioni e apnee…si infilavano lo scafandro e andavano in acqua. Dal punto di vista sanitario eravamo ben seguiti: c’erano il tenente medico e un sergente che ci assistevano, anche se i farmaci erano scarsi.

Da Vercelli 7-8 marinai

Di tutti i miei commilitoni non ho più avuto notizie, ho tanti indirizzi, ma non ho cercato più nessuno e adesso sono passati troppi anni. A Vercelli eravamo in tutto 7 o 8 marinai. Era la Marina Reale ai tempi a comunicare quanti dovevano essere arruolati in quel corpo e tra questi della classe 1922 sono stato scelto io.

Una volta c’era la possibilità di partire come volontario a 16 anni, ma erano in pochissimi, se non nessuno, che lo facevano: era già dura a 18 anni. Avevamo lo stipendio e il supplemento navigazione che iniziava a decorrere da quando lasciavamo il porto e durava fino a che non entravamo in un altro ed era sufficiente per le nostre spese.

I porti della Grecia

Quando eravamo in porto per i rifornimenti si mangiava veramente bene e ci davano dieci sigarette al giorno, ma in porto abbiamo passato pochissimi giorni, la maggior parte erano di navigazione.

Ho assistito al bombardamento aeronavale all’isola Salamina dove c’erano due sommergibili tedeschi che bombardavano la flotta e la terraferma.

Abbiamo girato tutti i porti della Grecia dove c’era l’accampamento militare, ho visto tantissimi posti magnifici, ricordo l’isola di Budros, nello stretto dei Dardanelli, che era bellissima. C’era una differenza enorme nella società: si vedevano i panfili di 80/100 metri dei miliardari, noi passavamo vicini loro salutandoli e li ammiravamo, ma quando sbarcavamo si vedeva tanta povertà».

Sul mare rivedo la flotta

Il rapporto con il mare dopo questa esperienza «Ancora adesso il mare lo ricordo positivamente, ci sono sempre andato in vacanza e ancora due anni fa sono andato a fare il bagno. Voglio dire una cosa: quando guardo il mare non vedo l’orizzonte libero, ma la flotta della marina militare di cui riconosco tutte le navi e i rispettivi nomi storici. Tanti miei colleghi hanno lasciato la vita là.».

Luca Degrandi

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