“Amici Miei” compie 50 anni. Lo rivedono per noi Dogliotti e Michelone

Due editorialisti di prestigio di Notizia Oggi Vercelli e tre indimenticabili film italiani del 1975 - PRIMA PUNTATA

“Amici Miei” compie 50 anni. Lo rivedono per noi Dogliotti e Michelone

Ha riscosso uno straordinario successo su Notizia Oggi Vercelli il trittico di pagine dedicate a tre film italiani che in questo 2025 hanno celebrato il cinquantenario. A “rivederli” per i nostri lettori due editorialisti di eccezione del nostro settimanale, Giulio Dogliotti e Guido Michelone.
Due belle riletture dei film con approfondimenti, riflessioni e aneddoti vercellesi da non perdere.
Cominciamo da AMICI MIEI, opera omnia di Mario Monicelli: un capolavoro che sfruttò a meraviglia lo stato di grazia di tre assi del cinema italiano anni 60/70 come Gastone Moschin, Adolfo Celi e Duilio Del Prete, e la maschera notevole di Philippe Noiret, il più italiano dei francesi. E poi, su tutti, un irresistibile Ugo Tognazzi, fuoriclasse della commedia tricolore, che nei panni del conte Mascetti ha toccato la punta più alta della carriera.
La “Supercazzola” di Ugo Tognazzi è entrata dritta nella leggenda (e nell’Enciclopedia Treccani)  attraversando le generazioni e, ancora oggi, viene citata abitualmente per etichettare frasi senza senso. Come pure è entrata nel linguaggio comune la “Zingarata”, la scampagnata in macchina senza meta e senza orari, in cui divertirsi in scherzi feroci, cantare in amicizia e – magari – finire pure ricoverati in clinica…

Buona lettura

AMICI MIEI secondo Giulio Dogliotti

amici miei vercelli

“Amici miei”, un altro cult del cinema italiano con la sceneggiatura di Pietro Germi (il regista di “Divorzio all’italiana”, “Sedotta e abbandonata”, “Signore e signori” per citarne alcuni) e la regia di Mario Monicelli (“I soliti ignoti”, “La grande guerra”, L’armata Brancaleone, “Il marchese del grillo” ecc.). Interpreti principali della pellicola sono: Ugo Tognazzi (conte Raffaello Mascetti), Gastone Moschin (architetto Rambaldo Melandri), Philippe Noiret (il giornalista Giorgio Perozzi), Duilio Del Prete (il proprietario del bar) e Adolfo Celi (il primario professor Alfeo Sassaroli). “Amici miei” è ritenuto un elemento fondamentale della commedia all’italiana, un genere nato negli anni cinquanta di cui rappresenta forse l’ultimo esempio di grande valore. Come chiariva proprio Monicelli: «La commedia all’italiana tratta con termini comici, divertenti, ironici e umoristici, argomenti che sono invece drammatici; è questo che la distingue da tutte le altre commedie…» E infatti è proprio questo il fil rouge che lega tutti gli episodi di scherzi goliardici, le cosiddette toscaneggianti zingarate, che si svolgono durante il racconto. Gli “amici” partecipano, in grande collaborazione, ad azioni dense di irriverente sarcasmo, spesso oltrepassando il sottile citato confine che esiste tra il comico e il drammatico. Ed è questo dualismo che a volte crea sconcerto; di primo acchito risulta difficile comprendere come questi uomini di mezza età, in fuga dal tempo che passa inesorabile, si comportino da giovani burloni esclusivamente per evadere dalla routine di un ritmo di vita ordinario, dal solito grigio tran tran che appiattisce la vita con le normali attività di ogni giorno.

I rimedi per sfuggire alla noia da cui tutti cercano di liberarsi appaiono incomprensibilmente esagerati e smodati anche ad altri personaggi del racconto, come al figlio del giornalista o alla moglie del barista, persone dipinte come scialbe e mediocri, invero del tutto normali; ma l’originalità e l’abile realizzazione degli scherzi fa sì che l’eccesso delle azioni sia accettato e sacrificato dagli spettatori sull’altare della comicità. Ad un più attento esame però la lettura dei comportamenti di questi uomini, annoiati borghesi, rivela lo specchio di un intero sistema sociale materialista e consumistico, privo di valori e di obiettivi morali da raggiungere.  Momenti emblematici del film tuttora ricordati sono quando gli amici, per consolare dalle delusioni amorose l’architetto Melandri, vanno a schiaffeggiare i passeggeri che si sporgono dai finestrini di un treno già in movimento in partenza dalla stazione di Firenze; una scena subito divenuta un must della farsa, che sarà ripreso di lì a poco da Paolo Villaggio nel film Fantozzi, ma con esito fantozziano in quanto il treno risulterà in arrivo e non in partenza.  Altro momento iconico è la scena nella quale il conte Mascetti (Ugo Tognazzi) ha una diatriba con un vigile urbano e sciorina una catena di neologismi incomprensibili che hanno il culmine nella mitica “supercazzola con scappellamento a destra”. Rivisto ai giorni nostri il film appare percorrere una china patriarcale, le protagoniste donne sono marginali, adeguate alla trama ma mai centrali, sono mogli o amanti pretenziose, antipatiche, rigide o sciocche e servili, quando non puttane o semplici oggetti dal lato b interessante. Ma nonostante ciò la parte femminile ha il suo riscatto, opponendo assennata realtà all’egoistica e sconsiderata comicità della banda di amici. Il culmine della non considerazione della donna nei confronti della parte maschile avviene quando la moglie separata del Perozzi, nella stanza dove è composto il corpo del marito morto, vegliato dagli amici,  si chiede se la cosa sia vera o uno dei soliti scherzi. Vorrei citare infine una delle scene per me più coinvolgenti del film, dove troviamo il breve monologo che proprio il giornalista Perozzi recita da solo dalla finestra della sua camera da letto al cielo stellato, pochi istanti prima di essere colpito dall’infarto fatale: «Di nuovo le stelle, come le ho viste la notte scorsa e tante altre notti. Notti, giorni, amori, avvenimenti… Ho già sulle spalle un bel fardello di cose passate. E quelle future? Che sia per questo, per non sentire il peso di tutto questo, che continuo a prender nulla sul serio?»  

 

AMICI MIEI secondo Guido Michelone

 

Amici Miei è stato un film epocale sia per un generico pubblico italiano sia per i nostri concittadini, e fece la gioia del fu professor Mino Givogre che, all’epoca, mezzo secolo fa, gestiva le principali sale cinematografiche di Vercelli: Italia, Astra, Viotti, Principe, Verdi. Amici Miei ha dato il via un autentico fenomeno di costume sociale. E cos’altro si può dire che non abbia già detto Giulio Dogliotti? Si può scorrere il filo della memoria personale, dato l’enorme impatto che l’Atto primo ha su di noi, allora ventenni universitari, frequentatori di cineclub e cineforum. Si tratta quasi uno shock emotivo, che la comicità produce, ben oltre il giudizio estetico o la passione filmologica.

Per Amici miei, poi, è comicità purissima, condita di goliardia tipica dell’umorismo toscano, che risale addirittura al Decamerone di Giovanni Boccaccio. Ma visto che la goliardia è scomparsa dall’università dopo la contestazione studentesca, io e i miei amici decidiamo di ripristinarla nello stile del film, mettendo in pratica alcune sequenze memorabili, prima fra tutte quella degli schiaffoni. Lo scherzetto è già ben organizzato – vittime i passeggeri di un Torino-Milano ovviamente alla stazione di Vercelli – quando il giorno prima leggiamo sul giornale che alcuni buontemponi, i quali in effetti riescono nel replicare le sberle di Tognazzi, Celi, Moschin, Noiret, Del Prete a ignari passeggeri, vengono subito arrestati dalla polizia ferroviaria. Ripieghiamo sui giochi linguistici (la ‘supercazzola’, ecc.), compiendo passeggiate automobilistiche tra i paesini del Monferrato, dove dal finestrino chiediamo informazioni nell’italiano maccheronico totalmente inventato dal conte Mascetti: ma i risultati sono modesti. E la nostra carriera di “amici miei vercellesi” finisce lì, in quel lontano 1975. Molti anni dopo, invece scopro come nasce il film: mio suocero buonanima, per lunghi anni al lavoro a Narni (Umbria) talvolta frequenta la villa di un amico ad Amelia, dove ogni tanto fa capolino il celebre regista/attore Luciano Salce, anch’egli, come Monicelli protagonista della commedia all’italiana: intrattiene spesso gli avventori raccontando di come avviene realmente, molto prima del film, l’episodio degli schiaffoni (avvenuta alla stazione della vicina Orte) e di un nobile umbro dedito a burle fenomenali; probabilmente Salce riferisce anche a Pietro Germi tali ‘zingarate’ fondamentali per scrivere l’originaria sceneggiatura di Amici miei, senza che quest’ultimo faccia in tempo a dire a dirigerla, perché un male incurabile lo porta via in breve tempo.