Ricordo della pittrice Grazia Airoldi, aveva debuttato a Vercelli
Un affettuoso profilo dell'artista a cura di Piera Mazzone
Nelle due immagini Grazia Airoldi, in età giovanile, un ritratto e una foto scattata nel 1966 a Palazzo Centoris di Vercelli per la sua personale.
Piera Mazzone, oltre a dirigere la Biblioteca Civica "Farinone Centa" di Varallo, è una grande conoscitrice della cultura valsesiana in primis, ma anche di Vercelli e del Vercellese e delle persone che la animano. Pubblichiamo un suo ricordo della pittrice Grazia Airoldi, la cui prima mostra personale risale al 1966, in quello che allora era il tempio dell'arte a Vercelli, Palazzo Centoris.
Il ricordo
Da sabato 4 febbraio le ceneri della pittrice Grazia Airoldi riposano nella tomba di famiglia nel piccolo cimitero di Isolella, accanto ai genitori e alla sorella. Da molti anni conduceva una vita ritirata nella casa di Valbusaga, dove aveva vissuto con il marito, il fotografo Heliar Reolon.
La prima personale a Vercelli
Sul periodico “La Valsesia” nel gennaio 1966, il giornalista Quadrelli le aveva dedicato un articolo intitolato: “La pittura: da hobby a professione”, sottolineandone il precoce talento per il disegno ed il colore, l’equilibrio delle forme, qualità creative che avevano agevolato il passaggio dal dipingere per hobby alla vocazione professionale, coltivata frequentando dal 1961 al 1964 la “Scuola del Nudo” a Losanna.
Nel febbraio del 1966 Grazia Airoldi aveva allestito un mostra personale nel rinascimentale Palazzo Centoris a Vercelli, dove si era fatta apprezzare dal pubblico e dalla critica.
La pittura e gli amati cani
La pittura l’aveva accompagnata per tutta la vita. “Dipinge a olio con densi impasti di colore, forti ombreggiature ed effetti di luce che donano un intenso senso di concretezza alle sue opere”, scriveva nel 1968 Casimiro Debiaggi nel breve profilo a lei dedicato, pubblicato sul “Dizionario degli artisti valsesiani”.
Nello studio-soggiorno dell’artista le tele si erano accumulate anno dopo anno, creando una sorta di palinsesto di una vita solitaria, nella quale erano stati ammessi solo gli amati cani: Raissa, maestoso esemplare di pastore tedesco, invecchiato accanto alla padrona, amata con struggente fedeltà, e poi Kira, un meticcio che aveva ritrovato una casa. Il fumo delle innumerevoli sigarette che Grazia lasciava incenerirsi tra le dita, diventa la cupa metafora di una vita che non è mai sbocciata, raggelata da un precoce inverno degli affetti, contrastante con il cromatismo acceso della composizione floreale che mi aveva donato un giorno lontano.Piera Mazzone