Ricercatore Upo condannato a morte in Iran

Il dottor Ahmadreza Djalali, che ha lavorato alla facoltà di Medicina di Novara, era stato arrestato lo scorso aprile in un suo viaggio nel paese degli Ayatollah. La Regione Piemonte con l'assessore Saitta, chiede il suo immediato rilascio.  

Ricercatore Upo condannato a morte in Iran
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Il dottor Ahmadreza Djalali, che ha lavorato alla facoltà di Medicina di Novara, era stato arrestato lo scorso aprile in un suo viaggio nel paese degli Ayatollah. La Regione Piemonte con l'assessore Saitta, chiede il suo immediato rilascio.

 

L'Iran è uno dei paesi al mondo in cui si eseguono più sentenze di morte l'ennesima mobilitazione per cercare di salvare un condannato ci riguarda abbastanza da vicino perché si tratta di un medico specializzato in Medicina delle Catastrofi che ha operato a lungo come ricercatore dell'Università del Piemonte Orientale.

In occasione del suo arresto L'Università del Piemonte Orientale ed altri importanti organi accademici si erano già mobilitato per la sua liberazione.

La Regione Piemonte si è mobilitata per ottenerne il rilascio, ecco il testo dell'appello.

“Non possiamo rimanere insensibili di fronte alla vicenda del dottor Djalali, un professionista che per anni ha lavorato per la sanità piemontese, stimato e apprezzato da tutti i colleghi – sottolinea l’assessore regionale alla Sanità Antonio Saitta -. Come Regione Piemonte chiediamo quindi l’immediata revoca della sua condanna e la sua scarcerazione e sollecitiamo il Governo e l’Unione europea a intervenire presso le autorità iraniane”.

Ahmadreza Djalali, medico iraniano di 45 anni e con un dottorato di ricerca conseguito al Karolinska Institutet di Stoccolma, per quattro anni ha lavorato a Novara, all’Università del Piemonte Orientale, come ricercatore capo al Crimedim, il Centro di ricerca in medicina di emergenza e delle catastrofi. Ora è stato condannato a morte dai giudici di Teheran. Le autorità iraniane lo accusano di essere una spia. La sua unica colpa accertata è quella di aver collaborato all’estero con ricercatori italiani, israeliani, svedesi, americani e del Medio Oriente, per migliorare le capacità operative degli ospedali di quei paesi che soffrono la povertà e sono flagellati da guerre e disastri naturali, assicurano i medici che hanno lavorato con lui e che adesso hanno lanciato un appello per ottenere la sua liberazione, a cominciare da Roberta Petrino, presidente dell’Eusem, la European society for emergency medicine, nonché presidente regionale del Simeu.

Sposato e con due bambini di 6 e 14 anni, il dottor Djalali si recava periodicamente in Iran. Nel corso della sua ultima visita, ad aprile dello scorso anno, è stato arrestato e mantenuto in assoluto isolamento nella prigione di Evin a Teheran, senza poter comunicare con la moglie o con il suo avvocato per mesi e senza nemmeno sapere il motivo del suo arresto. Quando è venuto a conoscenza delle accuse ha iniziato uno sciopero della fame, ma senza risultato. È anzi stato obbligato a firmare una confessione di colpevolezza.

 

 

 

 

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