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"Un nuovo corso di laurea magistrale per affrontare la sfida di una società in movimento e multiculturale"

Intervista alla professoressa Anna Elisabetta Galeotti, ordinaria di Filosofia politica dell’Università del Piemonte orientale. A cura di Pierluigi Lamolea

"Un nuovo corso di laurea magistrale per affrontare la sfida di una società in movimento e multiculturale"
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In Europa nel 1300 esistevano almeno 20 Università di cui 10 solo in Italia. Una di queste era proprio a Vercelli, l’Universitas scholarium, anche se l’esperienza durò poco più di un secolo.
Dal 1998 è stata istituita l’Università del Piemonte orientale Amedeo Avogadro (UPO), con organizzazione e didattica divisa tra Alessandra, Novara e Vercelli.
Tra i nuovi percorsi di studio è presente il corso di laurea magistrale in Filosofia politica e studi culturali.

A tu per tu con la professoressa Anna Elisabetta Galeotti

Incontro la prof.ssa Anna Elisabetta Galeotti, ordinaria di Filosofia politica dell’Università del Piemonte orientale (UPO).

Lei è la presidente del nuovo corso magistrale interclasse in Filosofia politica e studi culturali, il primo in Italia dedicato ai fenomeni migratori a all’interculturalità. Come è nata l’idea e perché?
«È nata qualche anno fa dopo una serie di analisi. Il piccolo ateneo Upo è circondato dalle grandi Università di Torino, di Milano, di Genova e di Pavia e un corso tradizionale in filosofia, per il numero degli iscritti e dopo molti pensionamenti, non sarebbe stato sostenibile. Ha così preso forma un corso magistrale a metà tra la classe di filosofia e quella di scienze politiche focalizzato su una tematica attuale e cruciale. Nel foro pubblico l’immigrazione è una questione esplosiva: a volte la notizia è diffusa, altre sottotraccia, ma il problema esiste. Prima i flussi dalla Siria, ora dall’Afghanistan e non si può fare finta di nulla. La situazione vale anche per l’emigrazione, spesso di cervelli, verso altri paesi europei più ricettivi, ma anche verso gli Stati Uniti d’America. Le persone si muovono da sempre e ora le società non sono più monoculturali, ma multiculturali: le diversità di religione e di costumi creano frizioni ma anche opportunità. Da qui l’idea di proporre riflessioni, conoscenze e competenze per meglio affrontare la realtà di una società in movimento e multiculturale».
Perché una studentessa o uno studente dovrebbe appassionarsi al corso magistrale e che cosa troverebbe all’Upo la matricola che decide di iscriversi?
«Un percorso innovativo e un’attenzione speciale perché all’Università del Piemonte orientale il rapporto numerico tra insegnante e studente è equilibrato; inoltre lo studente è seguito dal corpo docente con cura e con tutorati dedicati. È una situazione che costituisce un valore aggiunto rispetto alle confinanti grandi Università».
Si sente parlare di skill gap (scollamento tra domanda e offerta) con un eccesso di persone qualificate in settori considerati non strategici che poi con difficoltà trovano lavoro. Il nuovo corso magistrale ha visioni lungimiranti?
«Insieme con i colleghi abbiamo avuto incontri con le parti sociali – sentinelle della società – e siamo giunti alla conclusione che le competenze che offriamo siano apprezzate dato che è avvertita come urgente la ricerca di una nuova figura esperta delle questioni interculturali non soltanto nelle pubbliche amministrazioni nazionali e locali (anche come front-office che è il biglietto da visita dell’istituzione), ma anche nel sistema scolastico, nelle organizzazioni non governative italiane e internazionali, del terzo settore e nelle grandi aziende private all’interno delle quali convivono dipendenti di diverse culture. Per esempio, grazie anche al Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR), l’Inps ha un bando per selezionare questa nuova competenza professionale».
Lei insegna da quasi quarant’anni e ha visto generazioni di studenti. Com’è cambiato (se è cambiato) l’insegnamento da un lato, l’apprendimento dall’altro e il rapporto tra docente e studente?
«Ho iniziato a Messina, ho proseguito in altre Università e dal 1992 sono a Vercelli. L’insegnamento è cambiato perché c’è stata una profonda riforma che ha trasformato l’istituzione, che porta il nome del suo ideatore Luigi Berlinguer, passando dal ciclo unico di 4 anni al ciclo comunemente chiamato 3+2 per adeguare gli standard di studio italiani a quelli europei. Gli esami sono aumentati perché i programmi sono stati ridotti (passando dagli annuali di prima ai trimestrali o bimestrali di oggi). Il fine delle lauree triennali è quello di compattare le conoscenze in un ciclo di studi più breve che si conclude con una relazione e di approfondire il percorso di studi con la laurea magistrale che si conclude con la tesi. La caratteristica del percorso magistrale e più precisamente di questo nuovo corso, primo in Italia, è di realizzare corsi seminariali perché lo studente sia centrale e parte attiva per un rapporto di dialogo costante tra docente e discente».
È di Bergamo e vive a Torino in cui è presente una storica Università e anche nel capoluogo ha importanti incarichi scientifici in centri di ricerca e documentazione, tra cui il prestigioso Centro Einaudi, ma ha scelto di insegnare all’Università del Piemonte orientale. Perché questa decisione e quali peculiarità meritorie ha?
«Negli anni ’90 a Vercelli si stava realizzando un corso di filosofia innovativo grazie al prof. Diego Marconi, ordinario di filosofia del linguaggio. Oltre agli studi storici e teorici desiderava che ci fosse un’anima analitica di visione e di progettazione perché il fine era quello di coniugare la preparazione storica ed ermeneutica, tradizionale degli studi filosofici italiani, con l’analisi filosofica di tradizione anglosassone. Quest’idea mi aveva colpita e ho accettato. Forse anche per il fatto che io sia una filosofa normativa – che si dedica all’analisi e alla giustificazione dei principi, delle regole e delle norme della vita collettiva – ho proseguito con lo stesso stimolo di essere sempre al passo con i tempi, non di rincorrerli».
Lei ha al suo attivo molteplici pubblicazioni anche in inglese. Usa spesso i concetti di tolleranza, diversità e multiculturalismo, ma anche di recognition (riconoscimento) che ha anche un significato a uso tipico delle forze militari e di polizia. Li potrebbe spiegare?
«Il riconoscimento è un ingrediente della vita individuale e collettiva perché le persone possano cooperare in maniera pacifica per sentimenti e per solidarietà. È importante, non solo stessi diritti, ma anche riconosciuti come uguali. Penso ai gruppi minoritari, alle minoranze. Il mancato riconoscimento o meglio il misriconoscimento, che spesso esiste nella nostra società, crea cittadini di seconda classe e questa asimmetria non risolta non solo può generare dei conflitti, ma rappresenta una specifica forma d’ingiustizia».
Nel suo volume La politica del rispetto, edizioni Laterza, dà una spiegazione di rispetto orizzontale. Cosa intende?
«È parte dei nostri doveri, come membri della comunità morale e sociale, tributarci rispetto reciproco. In una società democratica il rispetto deve essere orizzontale, frutto del riconoscimento degli altri come miei pari, senza considerare che il soggetto di fronte a me sia meritevole o no, ma solo che è una persona in quanto tale. Il rispetto deve essere riconosciuto a tutti non in virtù di una legge superiore, ma sulla base del riconoscerci gli uni con gli altri come uguali».
Patria, nazione, popolo: secondo lei esiste una questione di emergenza educativa?
«È tra gli obiettivi del nuovo corso magistrale in Filosofia e studi culturali quello della disamina dei fenomeni della conoscenza, dell’integrazione, della comprensione e, appunto, del rispetto e della comune convivenza all’interno del demos, inteso come popolo costituito dai cittadini. Prima di parlare di emergenza bisognerebbe stabilire il concetto comune di educazione, come la capacità di entrare meglio in relazione con gli altri e senza preconcetti di relativismo culturale».
Un recente rapporto dell’Istituto nazionale di statistica ha pubblicato dati allarmanti: solo il 20% della popolazione tra i 25 e i 64 anni possiede una laurea contro quasi il 33% della media europea. È così anche per i diplomati e nelle materie scientifiche e tecniche le donne sono la metà degli uomini. Inoltre solo nel 2020, tra i 18 e 24 anni, oltre mezzo milione ha abbandonato gli studi. Secondo lei qual è la causa di questo quadro desolante?
«Il problema in Italia non è stato affrontato con decisione a partire dal dopoguerra. Fino a prima del 1963 la scuola dell’obbligo si concludeva con le elementari e solo negli anni recenti l’obbligatorietà è stata innalzata a 16 anni. Purtroppo siamo in ritardo; nel corso degli anni non c’è stata un’adeguata valutazione e questi numeri sconfortanti sono la conseguenza».
Dall’anno scorso in Italia è legge la riforma che consente alle studentesse e agli studenti di iscriversi contemporaneamente a due corsi universitari e che ha abrogato un divieto in vigore dal 1933. Cosa ne pensa?
«È una buona occasione, ma a monte resta sempre la questione di fare appassionare e di avvicinare gli studenti allo studio, anche con strumenti agevolativi più concreti».
Come vive il tempo libero e c’è qualcosa di lei che non traspare in pubblico e che potrebbe sorprendere?
«Mi piace leggere, soprattutto letteratura in lingua, e sono un’appassionata di cinema (nel periodo del lockdown ne guardavo molti attraverso le piattaforme digitali). Ma anche condividere il tempo libero con gli amici con incontri conviviali. Il mare, infine, mi rilassa e mi ricarica molto».
La lettera  del logo UPO contiene dei puntini che, nell’insieme, visualizzano la sagoma della regione Piemonte. Come per ogni opera d’arte anche il logo lascia spazio all’interpretazione personale.
L’ho associato al nuovo corso magistrale e mi è venuto in mente un pensiero di Antonio Gramsci secondo cui la cultura è organizzazione, disciplina e conquista della coscienza, intesa anche come condivisione, per comprendere il proprio valore e quello degli altri insieme con i propri diritti e doveri.
Parafraso l’antico motto con Universitas semper reformanda e alla saggia previsione che mira ai prossimi sviluppi attuata della presidente Anna Elisabetta Galeotti.

Pierluigi Lamolea

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