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"Il diritto va raccontato perché è la base della nostra società"

Intervista al professore nonché avvocato Alfonso Celotto, autore di volumi sulla Costituzione e sul potere. A cura di Pierluigi Lamolea

"Il diritto va raccontato perché è la base della nostra società"
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Quando ho chiesto l’intervista al professore nonché avvocato Alfonso Celotto ero certo di ricevere silenzio o, in caso affermativo, di raccogliere un suo rifiuto.

E invece mi ha dedicato quasi un’ora del suo tempo, sottraendolo alle sue giornate molto impegnate.

Come fa a conciliare le sue molteplici attività?

«Provengo da una famiglia molto semplice, di benzinai, in provincia di Napoli. Per me gli studi sono sempre stati un’opportunità di crescita e di sfida per impegnarsi e anche per variare le proprie attività per cercare di dare il meglio e il massimo. Questo nasce da una preparazione giuridica, da tanti anni di studio (sono anche sempre stato un secchione a scuola) e quindi adesso è anche una soddisfazione poter mettere a frutto tutti questi studi».

Fondata sul lavoro e L’enigma della successione: i suoi ultimi successi. Pubblicati a nemmeno due anni di distanza i due testi hanno un filo conduttore?

«I due libri sono molto diversi; entrambi nati nel periodo della pandemia in cui tutti abbiamo avuto più tempo per stare con noi stessi e per scrivere. L’enigma della successione nasce da un enorme lavoro di ricerca, è un saggio sul potere, sulla successione al potere e sulla scelta del capo. L’organizzazione della società e dello Stato, un lavoro scientifico insomma che ho tentato di rendere in maniera divulgativa e semplice. Fondata sul lavoro invece è un romanzo, quindi proprio un racconto su temi a me vicini come la Costituzione e l’Assemblea Costituente. È molto divertente per me non solo fare dei lavori di ricerca ma anche di divulgazione e di raccontare in maniera semplice una tematica seria».

Oltre alla stima riconosciuta in ambito giuridico e giudiziario è anche noto in radio e in televisione. Come concilia due mondi apparentemente opposti?

«In questi ultimi anni cerco di essere sempre di più un divulgatore, un raccontatore di cose giuridiche per cercare di spiegare come funziona la Costituzione e come funziona il mondo giuridico. Come tanti della nostra età, anch’io mi sono ispirato a Piero Angela e alla sua capacità di spiegare e di diffondere; sarebbe bello per me da grande diventare il Piero Angela della Costituzione, con modestia certamente, sperando di poter arrivare a una cosa del genere. Non sono mondi incompatibili perché i miei studi del mondo giuridico cerco di raccontarli in tv o in radio con scioltezza senza emozionarmi».

La ricetta per un buon divulgatore è quella di leggere molto, di informarsi, di conoscere fonti attendibili, di non accontentarsi e di essere creativi. La materia giuridica non suscita di solito molto entusiasmo alla comune platea, ma lei ha la dote (o la virtù) di essere sintetico e chiaro. Qual è l’ingrediente segreto?

«Il diritto non è una materia molto digeribile per tutti, però, proprio per questo, io che ho studiato il diritto un po’ per caso e un po’ perché mi ci sono trovato, penso che il diritto vada raccontato perché il diritto è la base inequivocabile e immancabile della nostra società. Noi viviamo in un mondo giuridico, perché abbiamo bisogno di regole di convivenza e quindi io che le studio e cerco di conoscerle penso che fra i miei compiti ci sia quello di raccontarle. Poi la sintesi e la chiarezza, che probabilmente sono un dono di mia mamma che mi ha trasmesso, e questa voglia di studiare (anche se lei non ha studiato) e le esercitazioni. Cerco di essere sintetico e chiaro perché chi deve trasmettere e chi deve raccontare dev’essere chiaro».

È questa la 19a legislatura da quando è entrata in vigore la nostra Costituzione nel 1948. Contestualmente ci sono stati poco meno di 70 Governi. Ritiene che i nostri Costituenti desiderassero questo?

«Sì, ci sono stati 67 Governi in 75 anni. A mio parere se i Costituenti potessero vedere il risultato oggi sarebbero molto contenti perché sono riusciti sicuramente nella scommessa di instaurare in Italia una Repubblica che non c’era mai stata. L’Italia in passato era o un regno o una dittatura e quindi sono riusciti a fondare una repubblica salda e soprattutto ad ampliare il novero dei diritti, dei diritti sociali e a fare crescere la nostra società. L’Italia del 1946/47 era poverissima, piena di analfabeti, con gravi disparità e invece tanto è migliorato grazie alla sanità, all’istruzione, alla previdenza e a un sistema di stato che funziona. Certo, probabilmente i nostri Costituenti speravano anche in una forma più funzionale di democrazia parlamentare. Erano consapevoli della fragilità dell’assemblearismo e della fiducia governativa, però hanno cercato di fare un sistema che evitasse le concentrazioni di potere. Hanno fatto un ottimo lavoro che ha funzionato per 75 anni e altre riforme potrebbero favorire dei cambiamenti».

Il problema della governabilità in Italia è causato dalla legge elettorale o dalla forma di governo?

«Il problema della governabilità non è causato dalla legge elettorale perché la legge elettorale serve a garantire la rappresentanza. La governabilità si deve organizzare con altri strumenti, con dei premi di maggioranza che però stonano un po’ con la nostra idea democratica oppure ad esempio con il presidenzialismo perché sappiamo che le formule presidenziali sono formule che funzionano maggiormente dal punto di vista della funzionalità di governo. Prendiamo le Regioni e i Comuni: sia i sindaci, sia i governatori (Presidenti di Regioni) sono forme di governo presidenziali che funzionano meglio e non c’è nessun rischio di concentrazione di potere. Quindi con i giusti bilanciamenti il presidenzialismo può essere una riforma che funziona».

C’è un’esperienza che l’ha cambiata o che le è rimasta impressa?

«Nella vita finora ho fatto tante cose e ne voglio sempre fare tante. A volte dico che è come se avessi 96 anni proprio per le tante cose che ho fatto. A oggi ho parecchio viaggiato per il mondo, anche per attività didattica, in Australia, in Argentina, in Canada, in Perù, in Colombia, in Paraguay, in Venezuela, in Messico. Mi piace incontrare le persone, osservare le culture diverse, parlare dei problemi giuridici.

Il ricordo impresso e che mi ha cambiato è stato quello di andare a studiare a Roma.

A 18 anni andare a studiare in una grande città da solo mi ha dato responsabilità, mi ha fatto crescere e quindi è stata forse l’esperienza più importante nella crescita.

Un’altra esperienza è stata quella del mio primo incarico governativo, nel governo Prodi 2. Nel 2006 aver lavorato con Emma Bonino (a capo dell’Ufficio legislativo del Ministero per le politiche europee) è stata un’altra esperienza di intensità».

Quali sono le sue passioni e come fa a rilassarsi?

«Sicuramente i bambini, ho tre figli a cui mi dedico tanto e con cui cerco tanto di giocare, di confrontarmi. E poi c’è la corsa, lo sport, sono 22/23 anni che faccio jogging, ho partecipato a maratone e cerco di correre tutti i giorni».

Ha un rito o una consuetudine a cui non rinuncia?

«Tutti abbiamo dei riti e anche il grande Dino Zoff aveva questi riti scaramantici. Da poco ho letto, proprio dell’occasione dei quarant’anni dei mondiali, le scaramanzie di Zoff. Fare attività fisica è importante per la salute e la mia consuetudine è quella di correre tutte le mattine con i miei podcast, che alimentano il desiderio di interesse e di curiosità alle cose più varie».

Umiltà e intelligenza. Secondo lei l’unione delle due caratteristiche è una virtù o un segno di maturità?

«L’umiltà è importantissima. Non tollero le persone arroganti, anzi, spesso chi mi è vicino mi rimprovera di essere troppo umile ma secondo me essere umile è una cosa giusta perché non vale la pena vantarsi. Probabilmente è un segno di maturità, è un segno di intelligenza, è un segno di crescita. Gli arroganti sono persone immature e quindi devono vantarsi, mostrare e invece poi devono essere i fatti a parlare di te».

Per finire: c’è qualcosa di lei che non traspare in pubblico e che potrebbe sorprendere?

«Tutti noi abbiamo piccoli e grandi segreti che devono restare tali nella propria vita privata.

Ecco forse una piccola curiosità: dal lockdown in poi si fanno tanti collegamenti in tv e radio e quindi anche tante riprese in video; un piccolo vezzo, ma penso non sia solo mio, è quello di collegarmi con giacca, cravatta, camicia. Sì, impeccabile, ma solo dalla vita in su e sotto in pantaloncini da sport. Mi diverte moltissimo, come anche ad altri, come segno di libertà e di irriverenza. Cerco anche di essere curioso, che è una qualità di rilievo e di essere semplice e, proprio in questa semplicità, di non vantarmi, di essere umile. Forse anche per questo conduco una vita molto semplice e riservata. Per sintetizzare potrei dire di avere due vite, come in fondo il dott. Ciro Amendola, il mio romanzo del 2014; il protagonista, direttore della Gazzetta ufficiale, che un po’ racconta di me questo. Due personalità, la parte pubblica e la parte privata che è giusto che resti privata».

Al termine della conversazione, incuriosito dalla sua esemplare umiltà, mi sono documentato. È professore ordinario di Diritto costituzionale all’Università Roma Tre, è titolare dell’omonimo studio legale in materia amministrativa, civile e costituzionale, ha avuto e ha incarichi di alto profilo istituzionale, è membro esperto di commissioni esaminatrici anche per l’accesso in magistratura e ha ruoli direttivi per gli editori Giuffrè e Utet e, tra le molteplici occupazioni, è presidente dell’associazione Aeroporti 2030. Ma è anche Commendatore della Repubblica italiana.

Se il mondo giuridico in Italia fosse meno ampolloso e più comprensibile, assisteremmo a più coinvolgimento dei cittadini alla vita pubblica e a meno ricorso alla magistratura che, di fatto, è destinataria di una delega implicita generata da molte norme incomprensibili.

Il prof. Celotto è una mosca bianca: si fa comprendere e usa un linguaggio semplice. Del resto anche Einstein parlò di relatività facendosi capire da chiunque. Perché il diritto, nostro pane quotidiano, è una scienza. E soltanto il buon ascolto genera curiosità. Perché usare un linguaggio semplice non è sinonimo di discriminazione per chi lo fa.

Spesso è semplice chi ha il dono dell’umiltà: parola che deriva dal latino humus, che significa terra.

Sembra un paradosso, ma per arrivare in alto bisogna restare bassi, come la terra.

Grazie prof. Alfonso Celotto.

Pierluigi Lamolea

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