"Giovani da tutto il mondo all'Upo grazie a corsi di laurea stimolanti"
Un dialogo con il prof. avv. Massimo Cavino, ordinario di Istituzioni di Diritto pubblico all’Università del Piemonte Orientale. A cura di Pierluigi Lamolea
Dal 1998 è stata istituita l’Università statale del Piemonte Orientale Amedeo Avogadro (UPO), con organizzazione e didattica divisa tra Alessandra, Novara e Vercelli. Incontro il prof. avv. Massimo Cavino, ordinario di Istituzioni di Diritto pubblico all’Università del Piemonte Orientale (UPO).
Lei è il direttore sia del Dipartimento di studi per l’economia e l’impresa, sia del corso di alta formazione in Diritto costituzionale. Qual è il filo conduttore che lega le due responsabilità?
«La direzione del Dipartimento impone una costante attenzione ai problemi della ricerca e della didattica per tutti i settori scientifico disciplinari; e richiede un notevole sforzo anche dal punto di vista amministrativo. Il corso di alta formazione è un progetto specifico che abbiamo sviluppato in coerenza con le caratteristiche del dipartimento: cerchiamo di mettere in luce le ricadute delle dinamiche istituzionali e costituzionali sul nostro sistema economico».
Studiare gli aspetti normativi e organizzativi della società
Perché un discente dovrebbe appassionarsi a questo campo del sapere e che cosa trova all’Upo la matricola che decide di iscriversi?
«Credo che la scelta del percorso universitario debba essere orientata dalle proprie inclinazioni. Se si ha una forma mentis orientata a cogliere gli aspetti normativi e organizzativi della società i corsi di laurea del nostro dipartimento sono senz’altro stimolanti. All’UPO la matricola incontra un ambiente molto dinamico (sono mediamente giovani i docenti e i funzionari amministrativi), strutture moderne e, soprattutto, corsi di laurea costantemente aggiornati».
Si sente parlare di skill gap (scollamento tra domanda e offerta) con un eccesso di persone qualificate in settori considerati non strategici, che poi con difficoltà trovano lavoro. Il Dipartimento di cui è direttore ha visioni lungimiranti?
«Tutti i nostri corsi di laurea sono costruiti tenendo conto delle indicazioni che arrivano dai comitati di indirizzo che sono composti da esponenti del mondo economico (imprenditori, rappresentanti di associazioni di categoria, ordini professionali, dirigenti della pubblica amministrazione ecc.) che forniscono indicazioni sui contenuti ritenuti necessari per una formazione al passo coi tempi. I comitati sono convocati almeno una volta l’anno per fare il tagliando alla nostra offerta formativa. Per questo i nostri laureati trovano facilmente lavoro».
Seppur giovane lei ha già maturato molta esperienza didattica; com’è cambiato (se è cambiato) l’insegnamento da un lato, l’apprendimento dall’altro e il rapporto tra docente e studente?
«Ho tenuto la mia prima lezione nel 1998. Ho visto esplodere la tecnologia digitale (che negli ultimi due anni è stata ancor più diffusa dalla pandemia). Credo che questo sia il fenomeno di cambiamento più radicale. Oggi lo studente ha tra le mani la porta di accesso a una quantità di informazioni apparentemente inesauribili. Il docente ha il compito di guidarlo e di fornirgli gli strumenti critici per non perdersi; e naturalmente deve utilizzare le nuove tecnologie sia per l’attività didattica, sia per incontrare gli studenti (ormai il ricevimento studenti si realizza prevalentemente con rapide videoconferenze)».
È di Alessandria e vive a Torino in cui è presente una storica Università e anche nel capoluogo ha avuto e ha incarichi in ricerca e documentazione, tra cui il Comitato per l’affermazione dei valori della Resistenza, nonché di commissioni di garanzia, ma ha scelto di insegnare all’Università del Piemonte orientale. Perché questa decisione e quali peculiarità meritorie ha?
«La risposta è molto semplice. L’UPO è un Ateneo con grandissime prospettive di sviluppo. Grazie alle sue strutture agili e a un rapporto straordinario col territorio sono riuscito finora a realizzare tutti i miei progetti. Penso proprio al corso di alta formazione in diritto costituzionale: lo abbiamo progettato e realizzato in tre mesi e oggi è una realtà che attrare giovani studiosi da tutto il mondo. Non credo che in un altro ateneo sarebbe stato altrettanto semplice».
Lei ha al suo attivo molteplici pubblicazioni anche in francese. Usa spesso i concetti di rappresentanza, di intenzioni e di valori, ma anche di struttura logico-interpretativa che ha anche un significato scientifico, con un approccio pragmatico, che definirei militare. Potrebbe spiegare?
«Sono un giurista e il diritto è funzionale alla soluzione di problemi. Se non ci sono problemi da risolvere il diritto non serve (e guai a quei giuristi che creano problemi dove non ci sono). Ora la soluzione giuridica dei problemi impone un approccio metodologico molto rigoroso. Si devono inquadrare correttamente le premesse di fatto e di diritto di ogni caso e sviluppare il ragionamento con passaggi argomentativi coerenti. Tutto lì. Il diritto è rigoroso o non è».
Uso il suo concetto di Informazione costituzionale: secondo lei esiste una questione di emergenza educativa?
«Sicuramente sì. Sia dal punto di vista della conoscenza delle istituzioni politiche, sia dal punto di vista delle istituzioni economiche. Le une e le altre interagiscono in modo sempre più evidente e le implicazioni di questa interazione non sono minimamente colte nel dibattito pubblico. Ci vorrebbe una grande preparazione da parte di tutti i soggetti chiamati alla formazione dell’opinione pubblica. Certamente da parte del mondo dell’istruzione, latamente inteso, ma anche da parte dei mezzi di stampa, spesso molto superficiali».
L’ultimo rapporto dell’Istituto nazionale di statistica ha pubblicato dati allarmanti: il 20% della popolazione tra i 25 e i 64 anni possiede una laurea contro quasi il 33% della media europea. È così anche per i diplomati e nelle materie scientifiche e tecniche le donne sono la metà degli uomini. In più, tra i 18 e 24 anni, oltre mezzo milione ha abbandonato gli studi. Secondo lei qual è la causa di questo quadro desolante?
«Non è detto che il quadro sia del tutto desolante. Abbiamo meno laureati, è vero; ma di qualità sicuramente migliore. Le rivolgo io una domanda: è indispensabile avere la laurea per essere protagonisti della vita economica, sociale e politica del paese? La nostra Costituzione attribuisce un ruolo importante alla formazione professionale dei lavoratori. Credo che questa sia la direzione giusta: investire nella qualità della formazione universitaria per chi ha le caratteristiche necessarie a proseguire gli studi; e investire nella formazione professionale per chi ha altri talenti. Spingere tutti a iscriversi all’università, a prescindere dalle qualità di ciascuno, produce soltanto mediocrità».
In Italia è appena entrata in vigore la norma che consente alle studentesse e agli studenti di iscriversi contemporaneamente a due corsi universitari e che ha abrogato un divieto del 1933. Cosa ne pensa?
«Credo che il tema debba essere regolato molto attentamente dal ministero. Di per sé può essere stimolante: se ben disciplinato potrebbe permettere forme integrate di didattica molto interessanti. Il mio giudizio rimane sospeso: dipende da come sarà regolata la materia».
Per finire: come si rilassa e c’è qualcosa di lei che non traspare in pubblico e che potrebbe sorprendere?
«Mi rilasso ascoltando musica e sono un lettore vorace. Ma la vera passione è la Formula 1. Credo che però tutti questi interessi traspaiano dalle mie pagine social…»
Il prof. Cavino ha un eloquio deciso, argomentativo e di dialettica costruttiva, oltre all’esemplare approccio umile, insieme con qualità caratteriali nella definizione di eccezionalità teorizzata da Carl Schmitt. Uno studioso carmelitano scalzo, nel senso più autentico e rigoristico del termine; considera la storia e, più in generale, la cultura come bagaglio indispensabile per l’esercizio della professione di giurista con sempre all’orizzonte il limite invalicabile nella legge.
Non a caso uno dei suoi riferimenti è il giurista Giorgio Lombardi che esprimeva sì le sue opinioni, ma non chiedeva che venissero condivise dagli studenti e non ricercava l’omologazione rispetto alle personali convinzioni.
Pierluigi Lamolea