Vico Ellena, il partigiano Bill e spunti vercellesi in un libro sulla fine di Mussolini
Il saggio "Mussolini, l'uomo che morì cinquanta volte" di Marco Delpino dedica un capitolo ad episodi nostrani molto interessanti.
Nella foto grande Urbano Lazzaro, il partigiano che arrestò il duce, mancato nel 2006, con lo storico di Alice Castello Lodovico Ellena.
E' uscita proprio in questi giorni che portano alla Festa della Liberazione la nuova edizione di un saggio del giornalista ligure Marco Delpino: "Mussolini, l'uomo che morì cinquanta volte", Il numero citato equivale alle diverse versioni che circolano fra gli storici riguardo le ultime ore di Mussolini. Ed è sorprendente quanto ci sia in queste pagi dei vercellese... Intanto l'uomo che arrestò il duce era Urbano Lazzaro, mancato a San Germano qualche anno fa e poi il giornalista Delpino cita anche Lodovico Ellena, che ha scritto diverse pagine su temi legati alla fine della guerra e che fu anche amico di Lazzaro.
Delpino, fervente antifascista, invitò alcuni anni fa Lazzaro ed Ellena ad un incontro a Santa Margherita Ligure nel quale persone di differenti estrazioni ideologiche dialogarono civilmente in merito ai "nodi" storici e di "riconciliazione nazionale", sempre nell'imminenza del 25 aprile
Un capitolo vercellese
Il libro “Mussolini, l’uomo che morì cinquanta volte”, edito dalla “Tigulliana” di Santa Margherita Ligure consta di 154 pagine, costa 10 euro la copia ed è distribuito dalla stessa “Tigulliana”).
Rispetto alle due precedenti edizioni, questa nuova versione si arricchisce di alcuni nuovi capitoli che offrono ulteriori spunti di ricerca per gli storici e per gli appassionati lettori di quel periodo, ma uno in particolare riguarda Vercelli a proposito dei “diari” del duce, la cui storia è avvincente quasi come un giallo.
Nel libro si racconta di come, il 27 aprile 1945, Urbano Lazzaro, il partigiano “Bill”, ovvero l’uomo che arrestò Mussolini, depositò due borse sequestrate al duce alla filiale della Cariplo di Domaso. Da lì, il 2 maggio, queste borse furono “spostate” dietro l’altare della chiesa di Gera Lario ma, il giorno dopo, qualcuno ne saccheggiò il contenuto.
Rispuntano i "diari" del duce
Nel febbraio 2007 il senatore Marcello Dell’Utri, accanito bibliofilo, annunciò nel corso di una conferenza stampa di essere in possesso di alcuni preziosi “diari” che, per anni, furono custoditi in Svizzera da un notaio di Bellinzona: cinque agende della Croce Rossa contenenti pensieri, riflessioni e resoconti del periodo 1935-1939 scritti di pugno da Benito Mussolini.
Dell’Utri asserì di averne preso visione «grazie al figlio di uno dei partigiani che avevano catturato il duce a Dongo». Quindi aggiunse che «quel partigiano era morto nel 2005 in Svizzera, dove aveva sempre vissuto dal dopoguerra», facendo capire che poteva proprio trattarsi del partigiano “Bill” e di suo figlio.
La raggelante smentita di Ellena a Dell'Utri
Si registrò immediatamente lo scetticismo di storici del calibro di Denis Mack Smith e di Arrigo Petacco, ma la smentita più convincente arrivò dallo scrittore e storico di destra Lodovico Ellena, amico del partigiano “Bill” Urbano Lazzaro nonostante le divergenti posizioni politiche.
«Mi sento di escludere in maniera categorica che “Bill” abbia trattenuto i diari o qualsiasi altro carteggio di Benito Mussolini», aggiungendo: «Nella ricostruzione di Dell’Utri c’è più di un’incongruenza: Urbano Lazzaro non ha avuto figli maschi, ma tre figlie, non si è spento in Svizzera due anni fa, ma nel gennaio 2006 a San Germano nel vercellese, il paese da cui era originaria la moglie, Angela Robbiano, e dove una comunità intera gli ha tributato gli onori militari. Infine, “Bill” non aveva alcun segreto: era un uomo dalla trasparenza totale».
Le Pandini
A dirla tutta, in passato, alcuni presunti “memoriali” avevano proprio origini vercellesi per opera di due donne: Rosetta Prelli e Amelia Panvini Rosati, rispettivamente madre e figlia, condannate poi a due anni di carcere per falso e truffa.
Il caso esplose nel 1957 quando agenti del Sifar fecero irruzione nella casa di via Foa, a Vercelli, in cui abitavano Rosetta Prelli, vedova di un commissario di pubblica sicurezza, e la figlia Amelia. Furono trovate quaranta agende, rilegate in marocchino rosso, con una grafia che ricordava quella del duce. E Rosetta Prelli confermò: «È il carteggio del duce che il ministro Paolo Zerbino aveva affidato in custodia a mio marito».
Madre e figlia avevano già iniziato a vendere le agende a prezzi esorbitanti, quando la magistratura aprì un’inchiesta. Invano la madre si difese: «Le agende sono vere, le abbiamo solamente ricopiate…». Amelia Panvini Rosati, invece, morì in solitudine nel 1995 a 81 anni, portando nella tomba il suo segreto.
Anche dei “diari” rinvenuti (e acquistati a caro prezzo) dal senatore Marcello Dell’Utri non se ne seppe più nulla e tutto finì, come altre vicende che hanno a che fare con gli ultimi giorni di Mussolini, avvolto nelle nebbie del tempo e della memoria.