Allarme Covid Estero

In Svizzera registrate alcune morti fetali correlabili al Covid-19

Il primario di Ginecologia del "Chuv" di Losanna lancia l'allarme.

In Svizzera registrate alcune morti fetali correlabili al Covid-19
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Dai vicini d'Oltralpe arrivano notizie davvero inquietanti: all'ospedale "Chuv" di Losanna, una vera e propria eccellenza ospedaliera della Svizzera francese e dell'intera Confederazione Elvetica, sono stati infatti registrati diversi decessi di bambini non ancora nati a causa della trasmissione del Covid-19 dalla madre al feto attraverso la placenta.

«Abbiamo avuto - comunica David Baud, primario del reparto di ginecologia e ostetricia del Centre hospitalier universitaire vaudois - diverse morti in utero ricollegabili al Covid, come anche cinque neonati che siamo a malapena riusciti a salvare, ma con lesioni cerebrali massicce».

Per morte in utero si intende una perdita fetale che avviene, in genere, in un momento già avanzato della gravidanza, al di là quindi del primo trimestre per il quale è ben noto il rischio di aborto spontaneo. Dopo questa triste scoperta il reparto di maternità dell'ospedale svizzero ha raddoppiato l'attenzione nei confronti delle future mamme, in particolare di quelle non vaccinate che, in Svizzera, sono ancora molto numerose.

Donne non vaccinate a rischio

I medici svizzeri hanno individuato nell'infezione intro-amniotica da Covid-19 la causa di queste morti. Il virus, prima di arrivare al feto, era stato precedentemente contratto dalla madre; i primi problemi si sono palesati dopo circa sette giorni dall'apparizione dei primi sintomi nella madre, anche quando questi si sono manifestati in maniera lieve. Una costante accomuna tutti i casi finora riscontrati: nessuna madre era stata precedentemente vaccinata contro il Covid-19.

In Svizzera, dove c'è un fortissimo movimento no-vax e attualmente solo il 68,87 percento risulta aver ricevuto almeno una dose di vaccino, i casi sono infatti aumentati drasticamente negli ultimi due mesi del 2021, fino ad arrivare al riscontro tanto grave: «Il Covid placentario - spiega David Baud - è stato individuato grazie a diversi studi svizzeri e internazionali ed è responsabile dell'aumento da a due a tre volte del rischio di morte in utero, che è la conseguenza più estrema di questo fenomeno». L'infezione della placenta comprometterebbe infatti la sua funzione, causando l'asfissia del feto. Là dove invece è stato possibile intervenire,  solo cinque bambini in tutta la Svizzera francese (per cui i casi restano relativamente rari) sono stati lesionati, dall'inizio della pandemia a oggi, da queste gravi complicazioni.

Impossibile prevedere chi rischia un'infezione placentaria

«La difficoltà - precisa David Baud - sta nell'impossibilità di riconoscere in anticipo se una paziente è più a rischio rispetto un'altra di essere colpita dal Covid placentario, poiché l'infezione può avvenire anche indipendentemente dai sintomi della madre. Abbiamo dato l'allarme a causa del forte aumento delle donne incinte risultate positive al Covid-19. Di fronte alle loro preoccupazioni, abbiamo  messo in funzione un sistema per seguirle con attenzione e  rassicurarle». Con l'arrivo della variante Omicron, particolarmente contagiosa, le infezioni sono infatti aumentate notevolmente in Svizzera come nel resto del mondo, nella popolazione in generale e più ancora nelle future mamme. David Baud ricorda infatti che queste hanno il 70% di probabilità in più di contrarre il virus.

Uno studio italiano

Nel settembre del 2020 una squadra di ricercatori coordinata da Fabio Facchetti, direttore del Laboratorio di Anatomia Patologica dell’Università di Brescia/Spedali Civili, ha fornito per la prima volta le prove definitive relative alla possibilità, seppur molto rara, della cosiddetta “trasmissione verticale” dell'infezione SARS-Cov-2 dalla madre al feto attraverso la placenta. Delle 101 donne la cui placenta è stata esaminata presso gli Spedali Civili di Brescia,  15 sono risultate positive al virus, 34 negative e 52 non valutabili... Lo studio si è focalizzato sulla placenta di una giovane donna ricoverata alla 37esima settimana di gravidanza per la comparsa di febbre e altri sintomi ricollegabili all’infezione da Covid-19. La donna, risultata poi positiva al virus, ha dato alla luce per parto indotto un neonato maschio, che a 24 ore dalla nascita è risultato anch'esso positivo, sviluppando polmonite con difficoltà respiratoria. Attraverso varie tecniche di indagine, i ricercatori hanno dimostrato la presenza di SARS-CoV-2 in diverse componenti della placenta, appartenenti sia alla madre (cellule infiammatorie nel sangue materno), che al feto. In particolare le proteine virali spike e nucleocapside, così come l’RNA virale, sono stati osservati in abbondanza nelle cellule fetali che rivestono il villo coriale (sinciziotrofoblasto) e che sono a contatto diretto con il sangue materno. I danni al feto, all'epoca, sarebbero stati comunque limitati, mentre oggi la possibilità che questi possano rivelarsi più gravi sembra divenire concreta.

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