Dantedì: la selva oscura di Daniela Fontanesi in vetrina a Studio 10
Sarà allestita fino al 18 di aprile.
E' visionabile da oggi, 25 marzo 2021, Dantedì, e fino al 18 aprile la personale dell'artista Daniela Fontanesi. Principalmente vetri decorati che sono sia sculture che figurazioni. La "selva" è formata da alberi e rami, da luci e ombre. Non è solo "oscura", perché il vetro è dopotutto una forma luminosa che però si intorpidisce in grovigli di vario genere. Anche il corpo umano, con le forme ramificate del sistema circolatorio e polmonare, diventa un "selva", in cui si annidano "fiere". E fiere che uccidono, come stiamo purtroppo vivendo. "La mia selva oscura", di Daniela, è in realtà la nostra dove, vaghiamo smarriti, sempre a rischio di precipitare nei gironi di un Inferno in terra, popolato, se vogliamo da angeli, spesso impotenti.
Tante sono le considerazioni che l'arte su vetro della nota artista e docente cittadina evocano.
In ogni caso ancora una volta "Studio Dieci" si dimostra in grado di veicolare Arte nonostante tutto, il centro culturale presieduto da Carla Crosio, giunto al suo cinquantesimo anno di vita si conferma come luogo da cui far partire percorsi di ricerca e di riflessione.
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Se volete seguire il filo di questa storia non vi resta che affidarvi a una sorta di "Virgilio", il direttore artistico di Studio Dieci, Diego Pasqualin di cui riportiamo integralmente un ispirato testo critico.
Il testo critico di Diego Pasqualin
È concessa la luce, ma non l’oscurità. Le nuove disposizioni mi impongono un divieto, non posso addentrarmi ad attraversare la notte come un’anima prava eppure, nell’osservare la nuova produzione di Daniela Fontanesi, esposta nelle vetrine del centro culturale vercellese StudioDieci, mi rendo conto che le tenebre non hanno bisogno del buio, o meglio, hanno trovato il modo di estendere le proprie radici oltre il sorgere dell’alba e venirmi incontro. Tra i riflessi di quei vetri, scorgo ombre che custodiscono racconti e incubi, amori e “arrivederci”.
Peregrinare tra i vuoti
Chiedo ad Arte di assistermi in questo peregrinare tra i vuoti che, troppo volte, hanno preferito essere “a perdere” e che, invece, in questo momento storico, avrebbero il piacere di divenire “vuoti da riempire”. Non sempre è troppo tardi, anzi, spesso è proprio la Cultura a offrire questa possibilità, quasi fosse un alternativo Caronte che traghetta le anime da una costa all’altra delle epoche, navigando a filo di quelle acque che le scelte degli esseri umani rendono spesso troppo scure.
Una volta non ci si poteva avvicinare alle opere d’arte per il pericolo di danneggiarle, ma ora, dove è vietato avvicinarsi a qualsiasi cosa, sopratutto alle persone, poter osservare l’opera di Fontanesi, anche se “in sicurezza”, ovvero “a distanza”, mi rincuora e, anche se solo per un’attimo, ho la sensazione che passi più ossigeno attraverso la mia mascherina, oltre quel secondo filtro tra me, il mondo che mi circonda e la mia stessa vita.
La Bellezza sulle ginocchia
“Un tempo, se ben ricordo, la mia vita era un festino, in cui si aprivano tutti i cuori, tutti i vini scorrevano.
Una sera, ho fatto sedere la Bellezza sulle mie ginocchia. - E l'ho trovata amara. - E l'ho ingiuriata.”
(Arthur Rimbaud, Una stagione All’inferno, Feltrinelli, Milano, 2004. Pag. 201
Con queste parole si apre uno dei testi più rappresentativi di Arthur Rimbaud: Una stagione all’inferno. Se è vero che tutta l’arte è stata contemporanea, perché indissolubilmente legata al proprio tempo che, prima di divenire “passato” è stato dapprima “presente”; è anche vero che, alcune produzioni, riescono a eludere lo scorrere del tempo riadattandosi, apparendo sempre attuali, o forse, addirittura profetiche.
Così mi aggrappo invano a quelle vetrine, nella speranza di trovarvi un appiglio. Sento il bisogno di una certezza in questo continuo sgretolarsi di un Tutto ormai annullato. Tra me e l’arte: un vetro. Così mi aggrappo a questo limite che riflette anche la mia immagine e mi propone una strana sintesi tra la mia sembianza esterna e l’allestimento schierato che mostra quello che ho dentro.
Ricucire i pensieri
Torno a ritroso in questo testo sconclusionato. Torno a ricucire quei pensieri che, fino ad ora potevano risultare sparsi e che Arte, attraverso l’opera di Fontanesi, mi ha permesso di riordinare e comprendere.
È concessa la luce, ma non l’oscurità perché ci sono limitazioni che mi impediscono di vivere la mia amata notte; nella prima sovrapposizione/vetrina mi viene offerta l’oscurità interiore. Alberi neri che sul mio petto paiono il sistema cardiovascolare, in grado di pompare la vita nel mio corpo, così come la natura trasmette vita al mondo.
Non mi è dato sapere quali misteri avvengano nell’oscurità del sottosuolo o dentro la mia gabbia toracica, NELLA MIA SELVA OSCURA di dantesca memoria. Arte è venuta in mio soccorso, ancora una volta, è il Virgilio che mi accompagna nel mio peregrinare tra i gironi esistenziali, più che infernali. Non vi sono peccati, ma l’amore per la vita e la Cultura che esige libertà d’espressione per meglio documentare lo sviluppo di quell’arazzo in divenire che è il Contemporaneo, perché anche la Bellezza sa essere amara.
Il cuore pulsante
La seconda sovrapposizione/vetrina è un cuore pulsante che mi indica che sono sulla buona strada. Il cuore è vivo e pulsa, vi è vita in tutta questa oscurità e nuovi equilibri vengono riflessi su candide carte sospese a mezz’aria: pagine che attendono di essere disegnate, pagine che sono storie da scoprire, pagine che sono Natura in evoluzione. Le opere vitree di questa raffinata artista vercellese vanno man mano schiarendosi, ma se in prossimità di un cuore vi è un polmone che lo sta ossigenando, nella terza sovrapposizione/vetrina suol mio petto compare uno squarcio. Un buco. È un diradarsi dell’oscurità? Un monito o un Memento Mori? Luce e ombra coesistono in questa esposizione, ma la trasparenza delle opere mi mostra una sottile precisazione, non delle comuni ombre, il corpo della materia non è opaco e ciò che portano sul piano non sono ombre solide e circoscritte, ma trasparenti e volubili: ombre della luce. NELLA MIA SELVA OSCURA è dunque un’articolata bilancia che mi sta invitando a scrutare tra quegli infiniti riflessi, affinché io possa soppesare parti del mio essere e di ciò che mi circonda. La natura è un pretesto, ma è anche la via maestra che mi insegna a morire e a rinascere, per morire ancora, ovvero a mutare e divenire altro, sconosciuto e impensabile; perché Natura assorbe dall’esterno e dona dall’interno, non trattiene, rielabora e lascia andare.
Vercelli nell'Inferno
Se nel XXVIII canto della Divina Commedia Dante utilizzò il nome della città di Vercelli per indicare “lo dolce piano”, quella splendida pianura che fino a Marcabò (Ferrara) digrada e Arte è il Virgilio contemporaneo, esattamente come ne La Commedia, a lei è concesso accompagnarmi fino all’uscita del Purgatorio. Chi mi prenderà per mano per illustrarmi il Paradiso? Chi sarà la mia Beatrice?
Non dispero perché la risposta è proprio davanti ai miei occhi, nelle opere di Fontanesi, perché, in questa mostra, ha scelto di nascondersi nella luce, nei riflessi, nella sensibilità e in tutto quello che sull’altro piatto della mia bilancia mi permette l’equilibrio.
Dentro la mia selva oscura: vi è Bellezza.
Diego Pasqualin
per StudioDieci