Trent'anni dopo l'incidente di Elettra Radice. Parla il papà Rolando: "Il suo sorriso vive in me"
L'intervista di Francesca Rivano su Notizia Oggi Vercelli in occasione del trentennale della tragedia

«In questi trent’anni mi sono mancati la tua allegria e la tua risata contagiosa». Sceglie queste parole Rolando Radice per ricordare la figlia Elettra.
Trent’anni fa, nella notte del 10 luglio 1995, uno sconcertante incidente spegne il sorriso della studentessa 19enne (avrebbe compiuto vent’anni nel dicembre successivo), mentre un amico, che come lei era seduto sul muretto davanti alla Trattoria San Giovanni, viene gravemente ferito nell’impatto con l’auto condotta da un coetaneo. Un «gioco» finito in tragedia, scrissero i cronisti all’epoca. Il conducente della vettura, finito a processo per omicidio colposo, venne condannato a 1 anno e due mesi con la condizionale. Per i coniugi Radice, invece, quella notte fu l’inizio di un ergastolo che ha segnato l’intera esistenza.
«Io e mia moglie Cinzia siamo riusciti a trovare l’uno nell’altra la forza per sostenerci - racconta Radice -. Abbiamo tenuto insieme ciò che restava della nostra famiglia fino a due anni fa, quando anche lei se n’è andata, portata via da una malattia che le è stata diagnosticata all’indomani della pensione».
Nella casa di Olcenengo, dove la famiglia Radice si era appena trasferita al tempo della morte di Elettra, tante cose ricordano la giovane: «Il pianoforte che suonava con passione, lo stereo dal quale sparava musica metal a tutto volume. Per tanto tempo abbiamo conservato anche i suoi giochi. Un modo come un altro per sentirla vicina», racconta il papà.
Le vecchie immagini di Elettra raccontano una ragazzina sorridente e vivace: «Era un concentrato di energia, voglia di fare, creatività - ricorda Rolando Radice -: dopo le scuole medie aveva deciso di iscriversi all’Alberghiero di Varallo Sesia. Una scelta che ci aveva molto sorpreso perché non aveva alcun interesse per la cucina. Ma lei era convinta e, nel triennio di specializzazione, aveva scelto di occuparsi della parte gestionale. Intanto, però, aveva sviluppato un forte interesse per i temi sociali, la psicologia, il recupero dalle tossicodipendenze. All’Università era iscritta a Biologia, pensando poi di passare a Psicologia che era il suo vero interesse. Scherzava sempre, diceva che io e sua madre saremmo stati i suoi primi pazienti, una volta diventata psicologa».
Parallelamente aveva coltivato le sue doti musicali: «Suonava il pianoforte passando dal classico al metal - ricorda il papà - finché abbiamo abitato a Vercelli era un po’ l’incubo dei vicini di casa tra musica e stereo sempre acceso. A Olcenengo, invece, avrebbe avuto modo di suonare e ascoltare musica in tutta libertà, ma non ne ha avuto il tempo».
E’ proprio nella casa di Olcenengo che i coniugi Radice vengono raggiunti dalla telefonata che avrebbe cambiato per sempre la loro esistenza. «Venni svegliato intorno alle 4 del mattino da mio fratello - racconta Radice -. Le forze dell’ordine erano andate al nostro vecchio indirizzo per avvertirci dell’accaduto e avevano trovato mio fratello. Venne a prenderci per andare in ospedale, perché l’auto ce l’aveva Elettra. Arrivati al Sant’Andrea ci dissero cos’era successo. Ci cadde il mondo addosso».
Scuote la testa Radice, tornando indietro con la memoria. «Se sono arrabbiato? Sì, per la vita persa di una ragazza dal sorriso contagioso e dalla spontaneità travolgente. Il suo carattere rispecchiava in pieno il suo nome».
Un nome insolito, soprattutto nel 1975... «Lo scelse mia mia moglie. Fu l’unico nome che scelse - sorride Rolando -: se al posto di Elettra fosse nato un maschio non avremmo saputo come chiamarlo. Ma lei sentiva che sarebbe stata femmina e così fu. A distanza di anni, alcuni dei suoi amici, diventati genitori, hanno scelto questo nome per le loro bambine. Il ricordo di mia figlia ha accompagnato tanti di loro e questo è bello».
Un legame tenuto vivo dai memorial musicali che si sono succeduti negli anni fino all’epoca covid. «La pandemia e poi la malattia di mia moglie hanno un po’ allentato i rapporti. Ma con molti degli amici di mia figlia mi sento ancora», racconta.
L’ancora di salvezza della famiglia, oltre all’amore reciproco, sono stati i gatti, ai quali i coniugi si sono dedicati, sfamando e prendendosi cura dei randagini. «Anche oggi ho un cane e tre gatti a casa - dice Radice -: in casa combinano guai di ogni tipo, ma almeno tengono impegnate le mie giornate».
L’amarezza e la sensazione di aver subito l’ingiustizia più grande che possa toccare a un genitore non si sono mai affievolite. E si rinnova ogni volta che le cronache riportano incidenti stradali costati la vita a qualche giovanissimo.
«Tutti i ragazzi - dice Radice - dovrebbero essere obbligati a fare un periodo di servizio civile a favore della collettività, per imparare l’importanza di rispettare le regole e per sviluppare quel senso di responsabilità che oggi sembra essere scomparso».
Oggi, però, le leggi sanzionano diversamente e con pene molto più severe certe violazioni al codice della strada... «Ma non basta, serve un’educazione civica che insegni il rispetto delle norme. Invece si è perso tutto. La mia Elettra è persa per sempre, ma ai ragazzi, neo patentati e non, voglio dire: Avete in mano un’arma, fate attenzione a come la utilizzate», commenta amareggiato.
Guardandosi indietro, Radice vede trent’anni difficili e faticosi: «Abbiamo vissuto privatamente il nostro dolore e siamo riusciti a tenere insieme la famiglia - rileva - e questo è già tanto».
Oggi nel cimitero di Olcenengo, accanto alla tomba di Elettra sono state posate le ceneri di mamma Cinzia. E, per Rolando, la vita è fatta di una quotidianità di piccoli e e grandi incombenze.
«Vivo senza aspettarmi niente dal futuro. Mia figlia aveva tutta vita davanti e un mare di sogni da realizzare e guardi com’è andata. E mia moglie aspettava la pensione per iniziare una nuova fase della sua esistenza. Invece la malattia le ha portato via tutto. Fare progetti è inutile: vado avanti giorno per giorno, aspettando di ritrovarle».
Francesca Rivano