TORINO

Il Museo Nazionale della Montagna festeggia i 70 anni della spedizione italiana al K2 e le dedica una sezione espositiva permanente

Dal 29 marzo 2024 l’impresa nazionale verso una delle vette più temute al mondo verrà raccontata in una nuova sezione permanente del Museo, che esporrà una selezione della più ricca documentazione esistente sul tema

Il Museo Nazionale della Montagna festeggia i 70 anni della spedizione italiana al K2 e le dedica una sezione espositiva permanente
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Il 31 luglio 1954, poco prima delle 18, Achille Compagnoni e Lino Lacedelli arrivano sulla vetta del K2: sono i primi italiani a toccare la cima di un Ottomila. In occasione del 70° anniversario di questa salita, il Museo Nazionale della Montagna di Torino annuncia l'apertura, il prossimo venerdì 29 marzo, di una nuova sezione permanente dedicata a questa spedizione del Club Alpino Italiano, sostenuta dal Consiglio Nazionale delle Ricerche - grazie a un contributo governativo -, dal CONI, dall’Istituto Geografico Militare e altri ancora.

150° anniversario della fondazione del Museo

L'iniziativa, promossa in concomitanza con il 150° anniversario della fondazione del Museo, propone una narrazione dell'impresa attraverso una vasta ed eterogenea esposizione di attrezzature, documenti, fotografie e iconografie che rappresentano,
nel loro insieme, la più ricca documentazione esistente sul tema.

Il progetto

Il progetto è stato sviluppato con il sostegno della Regione Piemonte (nell'ambito del bando “Valorizzazione beni archivistici 2023”), della Città di Torino, della Camera di Commercio di Torino e con il contributo di Vibram, tra le aziende che hanno supportato la spedizione del 1954, e la partnership tecnica di Leroy Merlin.

Con immagini poco note, documenti archivistici, pagine di giornale, oggetti e attrezzature alpinistiche, la nuova sezione permanente – frutto del riallestimento di una parte dell’area dedicata all’alpinismo extraeuropeo del Museo – spalanca una finestra sul passato e propone il racconto di un’impresa ancora oggi ritenuta mitica, che costituisce il fondamento dell’himalaysmo italiano moderno.

La quarta ascensione di un Ottomila nella storia dell’himalaysmo suscita emozioni intense, immortalate in sequenze catturate dalla cinepresa (le prime mai realizzate sulla cima di un 8.000), segnando un momento storico per i due alpinisti arrivati in vetta e per i membri della spedizione che, guidati da Ardito Desio, hanno reso possibile la scalata finale.

Il successo della spedizione è un trionfo per il Club Alpino Italiano e per quanti l’hanno sostenuta e il ritorno degli alpinisti in Italia è accolto con un forte interesse mediatico. La sigla K2 diventa un motivo di vanto per numerosi esercizi commerciali e per le aziende che hanno fornito i loro prodotti alla spedizione. Tuttavia, presto emergono polemiche e dispute, come accadde dopo la “conquista” dei primi Ottomila (a quel tempo l’alpinismo non si era ancora liberato del linguaggio bellico). La narrazione dell'impresa alimenta dibattiti sui media nazionali, riflettendo l'interesse crescente per l'alpinismo nell'Italia degli anni Cinquanta. Questo interesse culmina con il successo del film "Italia K2" del regista Marcello Baldi, che porta l'epopea del K2 sul grande schermo.

L'esposizione

L'esposizione, sviluppata con il supporto scientifico del giornalista e storico dell’alpinismo Roberto Mantovani, offre una narrazione non solo alpinistica, che raccoglie documenti cartografici, fotografie, filmati, attrezzature d’epoca. La visita offre l'opportunità di conoscere l'equipaggiamento utilizzato dagli alpinisti e di comprendere le sfide affrontate nell’ascensione del mastodonte del Karakorum che, con i suoi 8.611 metri, è la seconda cima più alta della Terra, ma una delle più difficili. La spedizione, forte di un’organizzazione di stampo militare, disponeva di prodotti d’avanguardia capaci di resistere alle condizioni estreme delle altissime quote, in un periodo che solo da pochi anni poteva vantare la presenza di attrezzature in nylon e di tessuti sintetici.

Il percorso espositivo

Il percorso espositivo parte dalla geopolitica degli anni Cinquanta, ancora annichilita dagli effetti della suddivisione del British Raj nelle due entità nazionali dell’India e del Pakistan, e prosegue con la descrizione dei luoghi della spedizione e del fondamentale contributo all’impresa dei portatori del Baltistan, la regione in cui sorge il K2. Senza trascurare il racconto delle fasi salienti della scalata e la sua tempistica, l'esposizione include la descrizione della via di salita lungo lo Sperone Abruzzi (la cresta Sud-Est), l’improvvisa morte del valdostano Mario Puchoz, il drammatico bivacco all’addiaccio di Walter Bonatti e del portatore hunza Amir Mahdi, e infine l’arrivo in vetta.

«La colonna portante del Museo Nazionale della Montagna di Torino – affermano il presidente Mario Montalcini e la direttrice Daniela Berta – sono i suoi archivi relativi alla cultura della montagna, non solo italiana, ma del mondo intero, raccolti nell’Area. Documentazione insieme alla Biblioteca Nazionale del CAI, una delle più ricche di settore a livello mondiale. Questo patrimonio così ricco ci consente tanto di organizzare mostre temporanee quanto di porci l’obiettivo di rinnovare periodicamente parte dell’allestimento permanente, dando ai visitatori sempre un motivo nuovo per tornare.
Nell’anno del suo settantesimo anniversario, ci è sembrato fondamentale offrire una nuova narrazione della spedizione del CAI al K2, momento cruciale nella storia dell’alpinismo mondiale e motivo di grande orgoglio nazionale che vogliamo ricordare e celebrare».

Nuovi beni

L’esposizione è composta dalle attrezzature della spedizione, giunte già nel 1956 e integrate nel 1981 dal CAI con la donazione del “Fondo Spedizione Italiana al Karakorum – 1954”. A queste si sono aggiunti negli anni Ottanta, alpinista e operatore ufficiale della spedizione, e nel 2016 l’Archivio Walter Bonatti, in cui si trova ampia documentazione sulla salita. La selezione è arricchita con alcuni beni di recente acquisizione, tra cui le attrezzature di Pino Gallotti e le diapositive di Ugo Angelino (entrambi alpinisti della squadra), ma anche le fotografie di Umberto Balestreri della precedente spedizione del 1929.

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