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Addio a Giacomo Grasso, luminare della cucina vercellese

Esperto di enogastronomia e raffinato scrittore delle tradizioni del territorio. Aveva 94 anni

Addio a Giacomo Grasso, luminare della cucina vercellese
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Non stava bene da qualche giorno ed era in ospedale. Nelle scorse ore la notizia che non avremmo mai voluto sentire. Giacomo Grasso è morto all'età di 94 anni. Era un vero e proprio luminare della cucina vercellese, al punto di conoscerne ogni minimo dettaglio (parlava della grammatura del burro da usare per mantecare il risotto, piuttosto che degli ingredienti della bagna cauda come un chimico di laboratorio) e arrivare a scrivere "La storia della cucina vercellese", summa definitiva della buona tavola nostrana presentata nel 2009 nel corso di una serata entrata nella leggenda.

Persona sincera e corretta

Giacomo Grasso era soprattutto una brava persona con due virtù oggi sempre più rare: era sincero e corretto e aveva una spettacolare simpatica, talvolta pungente, talvolta paterno. Ma quella risata lo ha sempre distinto dagli altri. Nonostante avesse una conoscenza enciclopedica della gastronomia vercellese, ha sempre mantenuto quell'umiltà che era nel suo dna e che proveniva dalle campagne di Oldenico che gli diedero i natali.

Un uomo unico e, lo diciamo con infinito orgoglio, amico e grande collaboratore di Notizia Oggi Vercelli per i primi tre lustri nel nuovo millennio.

La sera della presentazione della sua "Storia della Cucina vercellese" alla Soms di Borgo Vercelli si fece apprezzare moltissimo per quello che raccontò di sé e della genesi del libro.

Giacomo Grasso

Un narratore della memoria

"Mi definisco come un narratore della memoria, indago i ricordi e studio le tradizioni di chi mi ha preceduto, la mia passione è la civiltà contadina di una volta. Ho scritto nove libri  e tutte le volte la mia domanda iniziale è stata: "Come eravamo nel passato?" La mia curiosità nasce da lì, in questo caso mi sono concentrato sulla cucina, sulle ricette e sulla loro evoluzione nel tempo». Gianni Mentigazzi, che fece da moderatore alla presentazione, aggiunse: "Bisogna attingere dalla nostra tradizione contadina, io stesso mi sento contadino, la parte del testo sulla cucina povera mi ha commosso, mi ha mandato indietro nel tempo ai risotti di mia nonna e alla cura con cui li faceva. Il riso e i risotti potrebbero essere l'ultimo baluardo della nostra cultura sia antropologica che culinaria".

Il volume  fu promosso anche da Angelo Fragonara che ne diede un'immagine deliziosa: "E' un libro di ricordi, ma non di nostalgie, dalle sue pagine si può imparare, si legge non solo con la vista, ma anche con l'olfatto e con il gusto, chiudendo gli occhi si assaporano i migliori piatti della nostra cucina tradizionale».

Aveva anche scritto la storia del suo paese natale, Oldenico, ricostruendone le vicende dagli albori ai giorni nostri, con tanto affetto, ma sempre con precisione da storico. Si era diffuso molto sui lasciti della cultura contadina del paese. Innumerevoli le pubblicazioni.

Il suo metodo per la valutazione del risotto

Due anni fa l'ultima opera intitolata "Il riso, dalla preistoria alla semina con i droni” in cui Giacomo Grasso illustra il metodo di “valutazione e degustazione del riso per la cottura a risotto” da lui concepito e che porta il suo stesso nome. Una scheda in cui sono descritti, in modo chiaro e di facile applicazione, i vari passaggi che portano al giudizio finale, alla definizione, cioè, di un punteggio che tiene conto dell’importanza gastronomica delle varie caratteristiche del riso cotto “a risotto”: mantenuti costanti il tempo, il modo di cottura e la quantità di riso utilizzato, la valutazione finale varia a seconda del riso cotto ottenuto e delle sue caratteristiche evidenziate (sgranato, croccante, non colloso, non pastoso). Il libro è un “particolare compendio sulla ‘vita’ del riso e sull’opera di chi, da secoli, lo coltiva”, partendo da un “elogio dell’aratro” per terminare con il racconto della risaia o, più precisamente, della coltivazione “a risaia” «che a mia conoscenza – afferma l’autore – non è mai stata minuziosamente descritta». Per chiudere, infine, con un piccolo glossario di termini “tecnici” dialettali tradotti e/o spiegati in italiano.
Il progresso ha ormai quasi del tutto soppiantato i vecchi sistemi, e di ciò Grasso è consapevole tanto da descrivere, passo dopo passo, l'evolversi degli stessi, degli strumenti e dei metodi di coltura del riso e allargando il suo orizzonte di ricerca verso la modernità e l'innovazione rappresentata da quei droni citati nel titolo dell’opera, seppure con un pizzico di nostalgia per i tempi passati.

La sorella Mariuccia leggenda dei bar cittadini

Nel novembre di sette anni fa, Giacomo Grasso perse l'amata sorella Mariuccia, ai tempi 90enne. Costei era uno dei volti più noti in città, quasi ogni vercellese, almeno quelli di una certa età, l’avevano incrociata in una delle tante attività di ristorazione, bar, gastronomia in cui ha operato.
A 22 anni lasciò il lavoro nei campi per aprire, a Oldenico, la sua prima attività commerciale, un piccolo negozio di stoffe e merceria. Nell’agosto del 1953 il trasferimento a Vercelli per aprire un negozio di generi alimentari in corso Libertà, il celebre «Bottegone», che condusse per diversi anni. Ma è nel 1967 che inizia la sua avventura con i bar, attività che ha inaugurato, anche per Vercelli, una nuovo modo di vivere il rapporto tra esercente e clientela, favorendo le prime aggregazioni culturali e giovanili. Mariuccia Grasso rileva il «Bar Splendor», in via Failla. Giusto il tempo di fare esperienza e, soprattutto, di farla fare ai suoi due figli, Paolo e Roberto. Proprio con loro, tre anni dopo, nel 1970, apre il Bar Cavour. Grazie allo stesso Giacomo, il il Cavour diventò anche il locale di riferimento a Vercelli di una nuova cultura eno-gastronomica; venne sdoganato il vino come aperitivo e, ancor più, proposero gli abbinamenti con i formaggi. Nel 1973, Mariuccia, vista la pigrizia di molti a muoversi a piedi nelle domeniche di austerity, inventò il calessino, è trainato dal cavallo Garibaldi, che divenne presto un vero e proprio beniamino. Con quel mezzo venivano riportati a casa, due per volta, i clienti che uscivano dal bar e, nel ritorno, ne prendevano altri che avevano già prenotato. Fu un successone. Nel 1978, ceduto il bar, Mariuccia rileva un ristorante sul viale Garibaldi insieme con Pierino Pratelli e Ugo Actis e apre "Il Paiolo" locale tipico vercellese dove il piatto forte è la Panissa. Nel 1981 rileva la ditta Gastaldi, in via Galileo Ferraris e fonda la "Nazionalvini", con magazzino in via Restano, nell’antica fabbrica del ghiaccio. Quindi torna alle origini e con il «Cin Cin», proprio là dove c’era il Bottegone, coadiuvata dai due figli e dal fratello. Nel 2001 l'ultima svolta: basta con il bar e via con una gelateria, il «Gelatissimo», in viale Garibaldi e, a seguire, nel 2006, il «Bistrot», bar-ristorante con ampio spazio alla degustazione dei vini.

I funerali di GIACOMO GRASSO si terranno giovedì 31 agosto alle 10,30 nella chiesa di San Cristoforo dove mercoledì 30 alle ore 17 verrà recitato il Santo Rosario in suo suffragio.

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