Il personaggio

Una trinese alla conquista del Giappone!

Erika Rossi vive in Giappone dove aiuta aziende sudamericane a entrare nel mercato asiatico

Una trinese alla conquista del Giappone!
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«Mi chiamo Erika, vivo a Tokyo da 19 anni, 8 dei quali passati tra il Giappone e il Sud America per i miei studi di antropologia culturale. Oggi lavoro come consulente, principalmente, ma non solo, per l’industria del contenuto giapponese (musica, film, animazione, manga ecc). Viaggio molto per affari. Ad essere sincera, mi sono inventata un lavoro che mi permettesse di viaggiare il più possibile. Amo tanto il viaggio che mia mamma ha sempre sostenuto che ci fosse una “gitana” dentro di me. Viaggio da sola, o quasi, da quando ho 13 anni. Non la ringrazierò mai abbastanza per non avermi inculcato la paura di conoscere il mondo e di scontrarmi con il diverso, lei che non esce mai dal paesello in cui sono cresciuta, Trino Vercellese».

La felicità trovata nel Sol Levante

È la bellissima storia di Erika Rossi, che partendo da Trino ha trovato la sua personale realizzazione nella terra del Sol Levante.

«Dopo il Liceo Linguistico a Vercelli, ho studiato alla Ca’ Foscari di Venezia. L’incontro con il Giappone e la cultura orientale fu un vero e proprio shock. È stato il professore di antropologia che mi ha salvato, con la sua prima lezione, le cui parole ricordo ancora: “Se siete qui, è perché vi manca qualcosa, vi sentite disadattati”. Parole profetiche per me, che avevo passato l’adolescenza a chiedermi perché non mi sentivo completamente a mio agio con i gruppi di amici stabili, il modo di pensare provinciale, la routine. Grazie a quella lezione, continuai e terminai velocemente l’università, vinsi una borsa di studio per l’Università di Lingue Straniere di Tokyo e lasciai l’Italia con la promessa di tornarci solo quando sarebbe diventato un paese più giusto, più meritocratico. Sono ancora qui».

"Ho seguito il consiglio del nonno"

«Dopo la borsa di studio, Erika, ha conseguito Master e Dottorato: ha fatto anche una ricerca di antropologia musicale in Sudamerica. «Durante una conferenza in Brasile, a Rio, una professoressa della Columbia University di New York mi chiamò per contribuire a un libro, cosa che ho fatto ma, nonostante il dottorato decisi di non diventare professore. I miei amici mi davano della pazza, stavo lasciando l’opportunità di un posto stabile e ben pagato in una prestigiosa università giapponese. Ho sempre creduto nell’insegnamento di mio nonno, uomo immenso che, con poca istruzione e tante malattie, aveva fatto impresa: “il lavoro non te lo danno, si inventa”. Le sue parole sono ancora oggi la mia guida. E così ho deciso di far fruttare al massimo i miei studi e la rete estesa di contatti di media, artisti, promotori e uffici governativi che avevo creato nel corso degli anni».

L'incontro con la "mamma" di Candy Candy

«Cominciai a fare la consulente e a vendere e promuovere prodotti culturali e proprietà intellettuali giapponesi in tutto il mondo. Grazie a questo lavoro ho conosciuto l’autrice di Candy Candy, il “Character Designer” di Ken Shiro e molti altri artisti che hanno creato i personaggi dell’infanzia di tantissimi italiani. Qualche anno fa, ho fondato con mio marito un ufficio di consulenza che si occupa di aiutare imprese latinoamericane a entrare nel mercato giapponese e asiatico. Mi chiedono se mi manca l’Italia. Certo. Vorrei però tornare quando sarò sicura di poter applicare gli insegnamenti appresi in Giappone».

Il valore dell'umiltà

«Sarò sincera. Non amo questo paese, ma gli sono infinitamente grata perché mi ha fatto capire il valore profondo della parola “grazie” e “scusa” e che l’umiltà può essere una virtù grande. Che tutti i lavori sono dignitosi. Oggi, il Giappone ha gestito la crisi sanitaria del Covid-19 senza imporre il lockdown (la legislazione lo impedisce) ma “invitando fortemente” la gente a seguire misure di sicurezza, tra cui il mantenimento della distanza, l’indossare la mascherina, disinfettare le mani, la chiusura anticipata delle attività. Il danno economico è immenso, ma hanno gestito la crisi sanitaria, senza generare panico, con lo stoicismo che caratterizza questo popolo. Sono fiduciosa. Vorrei tornare per lavorare a un’Italia più giusta, più meritocratica, dove ci sia più spazio per i giovani perché, come dimostrato dalla mia piccolissima esperienza, in un ambiente corretto e sano, qualunque sia la tua nazionalità o il colore della tua pelle, gli sforzi vengono riconosciuti».

Riccardo Coletto

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