Cultura

"Una lingua che muta è una lingua viva": alla scoperta dell'italiano con Maria Napoli

Intervista alla professoressa ordinaria di Glottologia e Linguistica presso l’Università del Piemonte Orientale a cura di Pierluigi Lamolea

"Una lingua che muta è una lingua viva": alla scoperta dell'italiano con Maria Napoli
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Un piacevole colloquio con Maria Napoli, professoressa ordinaria di Glottologia e Linguistica presso l’Università del Piemonte Orientale.

Persona poliedrica

È il ritratto di una persona poliedrica, colta, umile e di rara capacità divulgativa che ha dedicato del tempo, nonostante i suoi molteplici impegni.
Qual è la definizione di linguistica e glottologia?
«È lo studio scientifico del linguaggio. Il linguista osserva le diverse manifestazioni del linguaggio verbale umano: il suo lavoro è paragonabile a quello del geologo, a cui interessa studiare ogni tipo di roccia, dal diamante alla quarzite, senza esprimere giudizi di valore. Il linguista analizza tutte le lingue, e sono rilevanti tanto le regole quanto gli errori, perché sia le une sia gli altri ci dicono qualcosa sul modo in cui le lingue stesse funzionano. Glottologia è una parola di origine greca che vuol dire “studio della lingua”; è anche sinonimo di “Linguistica Storica”, che studia lo sviluppo delle lingue attraverso il tempo».
L’italiano è in buona salute o ha bisogno di cure?
«Si parla di morte di una lingua solo se questa perde i suoi parlanti, e non è il caso dell’italiano, oggi ampiamente parlato. È una lingua che si è dimostrata abbastanza stabile nel corso della sua storia, tanto che siamo in grado di leggere scrittori del 1300 senza grossi problemi di comprensione, e che è mutata più rapidamente man mano che ha raggiunto una platea sempre più ampia di parlanti, da settant’anni a questa parte. Una lingua che muta è una lingua viva».
Leggere di più equivale a usare al meglio la lingua?
«Non saprei dirlo, ma leggere è uno degli strumenti principali per affinare le competenze linguistiche e per acquisire maggiore consapevolezza di ciò che possiamo fare con la nostra lingua, adattandola a diversi tipi di contesti e usi. La scuola deve dare un contributo importante: in questo senso ci vorrebbe più linguistica, e non solo più lettura».
I social network stanno modificando la lingua e il linguaggio?
«Il mutamento linguistico è sempre imprevedibile e dipende da una molteplicità di cause. Di certo i social network hanno contribuito alla diffusione di un modello di italiano scritto più informale, colloquiale e “disinvolto” rispetto allo standard e alle regole canoniche, in definitiva più vicino al parlato, tanto che in quei contesti proliferano gli anglicismi».
È meglio usare una parola in inglese di uso comune oppure la lingua italiana?
«Se per il concetto che vogliamo esprimere esiste un’alternativa in italiano, perché ricorrere all’inglese? È vero anche che a volte le parole straniere si impongono, perché possiedono un’aura speciale o perché designano una realtà nuova: usiamo una parola intraducibile, spaghetti, che in realtà potrebbe essere tradotta ma non lo è in quasi nessuna lingua, perché gli spaghetti, nella percezione comune, sono italiani per definizione».
Qual è l’errore comune che proprio le dà fastidio?
«Senza dubbio, il ‘piuttosto che’ con valore disgiuntivo, come se fosse sinonimo di ‘o, oppure’. Mi dà così fastidio che correggo mio marito quando lo utilizza. O meglio, lo utilizzava: l’ho corretto così tante volte che adesso non dice più ‘piuttosto che’ nel senso di ‘o’».
Cosa pensa dell’uso della declinazione della lingua al femminile nelle professioni?
«Se la morfologia dell’italiano consente di specificare il genere, perché non usare ‘Avvocata’ invece di ‘Avvocato’, o ‘la Presidente’ invece di ‘il Presidente’ in riferimento a una donna? Dal punto di vista linguistico, queste sarebbero forme corrette e lecite. Dal punto di vista soggettivo, laddove non esiste un’unica convenzione sociale, è certamente possibile per una donna farsi chiamare ‘il Presidente’ o ‘l’Avvocato’. È invece impossibile forzare la lingua ad andare in una certa direzione, imponendo una forma invece che un’altra».
Qual è la sua pubblicazione a cui è più legata?
«Sicuramente la mia prima monografia, sull’aspetto verbale nel greco omerico. Un lungo percorso di ricerca, che mi ha regalato molte soddisfazioni professionali».
Qual è stato finora il momento più emozionante nella sua esperienza professionale?
«Quando sono stata invitata all’Università di Cambridge per una conferenza. Ma anche quando ho vinto il concorso da Ricercatrice all’Università del Piemonte Orientale: il raggiungimento di un obiettivo dopo diversi anni di precariato, e l’inizio di una nuova fase della vita, anche grazie al trasferimento in Piemonte».
Qual è il segreto che ha di non perdere mai di vista le sue passioni e come fa a rilassarsi?
«Sono le mie passioni che non perdono di vista me. Mi rilasso quando cucino, nuoto e leggo».
C'è qualcosa di lei che non traspare in pubblico e che potrebbe sorprendere?
«Per giocare un po’ con le parole… La mia apparenza è trasparenza».

Al termine del piacevole colloquio, come un viaggio intellettuale stimolante, mi è venuto in mente un pensiero di Dostoevskij: «Un giorno ti sveglierai e vedrai una bella giornata. Ci sarà il sole e tutto sarà nuovo, cambiato, limpido. Quello che prima ti sembrava impossibile diventerà semplice, normale. Non ci credi? Io sono sicuro. E presto. Anche domani». Aveva ragione Dostoevskij.

Pierluigi Lamolea

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