Amarcord

Riti funebri d'un tempo: riflessioni ricordando un amico

Giacomo Grasso condivide vivide memorie della sua fanciullezza.

Riti funebri d'un tempo: riflessioni ricordando un amico
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Nella foto grande corteo funebre in un paese della Valle Padana negli anni Cinquanta.

Giacomo Grasso è uno storico e scrittore vercellese che nei suoi libri ha messo sempre al centro la cucina tipica e la vita delle persone del popolo nei nostri paesi. Nel ricordare l'amico Luigi Burocco (leggi anche: Collobiano: addio a Luigi Burocco ucciso dal virus) Giacomo, che è un grande amico da sempre di Notizia Oggi Vercelli, ci ha mandato questo affettuoso e delizioso concentrato di memoria. Grazie Giacomo!

Un funerale in uno squillo telefonico

Ho letto su un giornale della morte di Luigi Burocco, agricoltore di Collobiano.
Io già agitato per le brutte notizie che radio e televisione trasmettevano in continuazione, rimasi scosso e costernato per la morte di Luigino, colpito da Covid-19.
I familiari che dal ricovero non avevano più avuto notizie, erano in permanente attesa di ricevere una notizia positiva. Invece nella notte arrivò una telefonata che annunciava la morte di Luigi. Così quella telefonata ha tolto quelli che sono i sacrosanti diritti di ogni cristiano: il funerale con i riti della liturgia cristiana.
Che Dio onnipotente faccia cessare questa oscura bufera in modo che queste cose non possano più accadere.
Avevo conosciuto Luigino Burocco giovinetto, quando i genitori e le due sorelle erano agricoltori alla Cascina Dallodi, dove io portavo i generi alimentari per le mense delle mondariso.
Con l’apertura del bar Cavour da parte dei miei nipoti Paolo e Roberto con la mamma Mariuccia, Luigino fu sempre un cliente affezionato. Durante l’austerity del 1973 a causa della crisi petrolifera, venne vietato l’uso delle automobili nelle giornate di domenica. Fu Luigi ad avere l’idea dell’uso del cavallino col calesse, che andava a prelevare i clienti nelle loro abitazioni e li portava al bar. Un fatto di cui parlò anche la stampa nazionale. Io conservo ancora le fotografie nel mio archivio fotografico.

I funerali ai tempi della mia infanzia

Quando ero bambino di 6 o 7 anni i funerali venivano quasi sempre preceduti dall’ ”estrema unzione”.
Il parroco si recava con l’olio santo presso l’abitazione del moribondo. Al suo passaggio i contadini appoggiavano al muro i loro strumenti di lavoro, si toglievano il cappello e con un ginocchio a terra, recitavano delle preghiere.

La veglia

Dopo la morte il defunto veniva vegliato da due o tre parenti e amici per tutto il giorno e la notte seguente. Al mattino arrivavano le donne per riordinare e iniziavano a recitare un rosario. Di giorno la veglia era fatta dalle donne. Il giorno dopo recitavano preghiere in attesa del parroco con i chierichetti.

La processione

La bara era portata a spalla da quattro uomini che avevano ai loro fianchi altri due uomini candelieri che portavano un grosso cero acceso. La processione era aperta dalla donna che portava la croce, seguita in doppia fila dalle “Figlie di Maria” vestite di bianco, seguite dalle donne che cantavano inni sacri, tra i quali:

In Paradisum conducat et Angeli et Santi
Miserere mei Dominae secundum magna misericordia Tua
Deprofundis clamavi ad Te Dominae.

Davanti alla bara il parroco con i chierichetti. Dietro alla bara i familiari e i parenti e dietro a loro tutti gli uomini in ordine sparso.

Le donne piangenti

Le donne del gruppo dei familiari piangevano ad alta voce con invocazioni e preghiere. Giunti al cimitero la bara veniva posta sulla pietra centrale, benedetta ancora una volta dal parroco. Veniva quindi presa dagli aiutanti del becchino che aveva scavato la fossa alla profondità di un metro e mezzo. Appena calata noi bambini gettavamo una piccola zolla di terra sulla bara come saluto al defunto.

Giacomo Grasso

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