Cultura

"Cari giovani, le leggi non sono sabbie mobili ma liane che consentono di muoverci più liberamente"

Intervista al giudice Giacomo Ebner, autore di "Leggi qui. Guida galattica (e) norme per adolescenti". A cura di Pierluigi Lamolea

"Cari giovani, le leggi non sono sabbie mobili ma liane che consentono di muoverci più liberamente"
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Ha svolto prima la professione di avvocato, poi di giudice penale, delle indagini preliminari e di Corte d’assise – applicato anche al dipartimento ministeriale della Giustizia minorile – e ora di giudice civile; è membro del Comitato direttivo centrale, nonché presidente della commissione Educazione e formazione alla legalità dell’Associazione nazionale magistrati.

Forte legame con la terra vercellese

Esercita e vive a Roma ma per certi versi Giacomo Ebner è legato alla terra vercellese perché apprezza il paesaggio e il riso del nostro territorio.

Dove trova l’ispirazione per i suoi libri e come ha scoperto la passione per la scrittura?
«Come nella vita lavorativa c’è la fase dei corsi, seguita inevitabilmente da quella dei concorsi, ed infine eventualmente da quella dei ricorsi, così nella vita di ogni amante dei libri c’è la fase della lettura, alla quale segue in molti quella della scrittura, e infine quella inevitabile della sepoltura. La terza fase è quella decisiva per il successo di un’opera. Purtroppo è necessaria la morte dell’autore».
La sua recente pubblicazione "Leggi qui. Guida galattica (e) norme per adolescenti" edita da Mondadori, rivolta soprattutto ai giovanissimi: qual è il segreto del successo?
«È una guida che descrive in modo chiaro e semplice ogni situazione al limite della legalità da uno studioso del diritto e commentata da un personaggio famoso della tv, dello sport, della musica, del cinema, della cultura e del giornalismo, tra cui David Sassoli e Maurizio Costanzo che purtroppo non ci sono più. Gli adolescenti spesso percepiscono le leggi e l’educazione civica come sabbie mobili che impediscono di camminare e invece, al contrario, sono liane che non soltanto proteggono i diritti di tutti, soprattutto dei più deboli, ma consentono di muoverci più liberamente».
Il precedente saggio Coronarebus (storie di Covid, codici, uomini) e il manuale Dodici qualità per sopravvivere in Tribunale (e non è nemmeno certo), entrambi pubblicati dall’editore torinese Giappichelli, hanno un filo conduttore?
«I due libri hanno origini completamente diverse. Il primo è una raccolta di esperienze che ogni magistrato, avvocato, cancelliere o frequentatore di tribunali potrebbe raccontare. Io sentivo l’esigenza da tempo di mettere per iscritto gli straordinari squarci di umanità che avevo vissuto.
Il secondo è frutto di un momento agli antipodi, il lockdown e avevo l’esigenza di sognare terre lontane senza averle mai viste. Li lega la costante ironia sul mondo dei tribunali e su tutti quelli che vi entrano a vario titolo e vi escono sempre col titolo cambiato».
Ancora nella sua autorevole lectio all’interno della pubblicazione La Costituzione aperta a tutti, edita dall’Università degli Studi Roma tre (insieme con altri illustri come due ex Presidenti della Corte costituzionale Cartabia e Onida), lei usa spesso i sostantivi lealtà, libertà, dignità e valore.
Perché?
«Non c’è libertà senza dignità. Quest’ultima è data dall’adempimento dei nostri doveri congiunta all’esercizio dei nostri diritti. Dalla nostra capacità di adempiere i doveri e far valere i diritti si misura il nostro valore sociale. Il pentagramma per esprimere il nostro valore ce lo dà la legge, ma legalità contiene in sé la parola lealtà. E senza lealtà la legalità si sgretola come il mondo di Fantasia in Never ending story».
Recentemente all’interno di una trasmissione televisiva Uno mattina in famiglia su Raiuno è stato riservato uno spazio, nominato Pillole di legalità, promosso dalla sua funzione. Com’è nata l’idea e perché?
«C’è una fortissima esigenza sociale che i nostri ragazzi sappiano alcune cose base del convivere civile. Noi magistrati vediamo troppi giovani che si rovinano l’esistenza per sciocca ignoranza delle norme base. Le pillole hanno la stessa filosofia del libro Leggi qui: in ogni puntata un magistrato per due minuti spiega un argomento con parole semplici ai ragazzi».
Esprime spesso pensieri profondi in forma umoristica e a volte anche concetti pragmatici come: «chi sa solo di diritto non sa nulla di diritto». Lo potrebbe spiegare?
«Amo gli aforismi. Ammiro chi in poche parole riesce a racchiudere un pensiero. E sinceramente mi piace crearne nuovi. Il mio preferito resta comunque: «si chiude un portone, si apre un barattolo… di Nutella».
C'è un'esperienza che l'ha cambiata?
«Due su tutte: la mia prima nomina come magistrato a Licata dove facevo tutto, dal dirigente al giudice civile, dalla volontaria al penale, dal lavoro all’esecuzione, e nel giro di sei mesi sono entrato nell’iperspazio della mia crescita professionale.
La seconda è il mio disastro come educatore dei miei figli. Come genitore se potevo sbagliare qualcosa l’ho fatto; la cosa grave è che l’ho fatto impegnandomi, e con la sicumera di chi aveva fatto per decenni l’educatore dei figli degli altri».
Qual è il segreto che ha di non perdere mai di vista le sue passioni e come fa a rilassarsi?
«Ho avuto una vita singolare: nella prima parte mi è stato portato via tutto ciò che amavo, nella seconda mi è stato dato di più di quanto chiedessi. Ho imparato subito quali cose contano davvero nella vita e a prendere con leggerezza tutto il resto.
La leggerezza è la mia forma di relax, perché in realtà non do nulla per scontato. Come tutti quelli che non hanno particolari doti, la mia forza risiede nella tenacia. Da piccolo sognavo di essere Bruno Conti, ma alla fine ho fatto più il Gattuso».
Qual è la differenza tra serenità e felicità?
«È la stessa differenza che c’è tra il tifo per la Lazio e per la Roma. La serenità è una felicità che non sogna; è stare bene senza gloria né preoccupazioni. La felicità è un picco momentaneo seguito da lunghi periodi di entusiasmo. Noi romanisti diciamo sempre non succede, ma se succede … eppure succede solo ogni 40 anni».
Per finire: c'è qualcosa che di lei non traspare in pubblico e che potrebbe sorprendere?
«Non riesco mai a trovare la cinta giusta per i pantaloni, complice la mia pancia. L’ultima volta al Ministero della giustizia, davanti al Capo di gabinetto mi stavo ritrovando in mutande … ho finto un malessere per poter andare al bagno mentre mi parlava».

Il giudice Rosario Livatino descriveva la differente personalità tra essere operatore di diritto e operatore di giustizia e riteneva che soltanto la seconda opzione avrebbe permesso di contrastare la tentazione del potere che la legge affida al magistrato. Così come il giurista Piero Calamandrei riteneva che il diritto sia invisibile e impalpabile come l’aria che si respira fino a quando nessuno lo turba e lo contrasta, esattamente come la salute di cui ci si accorge del pregio solo quando si perde.

Questi riferimenti hanno delineato il profilo di Giacomo Ebner come un uomo eclettico, un padre e un serio professionista che ama mettersi sempre in discussione senza mai peccare di ipertrofia e con un vibrante vigore che ha catturato l’attenzione per tutta la durata dell’intervista.

Pierluigi Lamolea

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