Il green pass: una misura antidiluviana
«Da una pandemia all’altra», la mostra del Museo della Farmacia.
Sabato 27 novembre il Museo della Farmacia di via Galileo Ferraris 24 è divenuto il "palcoscenico" di una mostra intitolata “Da una pandemia all’altra”, organizzata dal Museo del Tesoro del Duomo. Qui si è parlato dell’attualissimo "green pass", scoprendo che non è del tutto una misura moderna... La tanto discussa certificazione verde, infatti, ha un antenato, anzi, più di uno. Ne sono un chiaro esempio le cosiddette "Fedi di sanità" o le "Patenti di sanità" della Serenissima, ovvero quei documenti che la città di Venezia rilasciava a chi godeva di buona salute per garantire viaggi sicuri. Epidemie e pandemie hanno funestato per secoli la vita degli uomini e alcune di esse, come la peste, il vaiolo, la sifilide e il colera, hanno cambiato il corso della storia per i loro effetti demografici, economici e sociali. Tali attestati sono stati introdotti proprio nel tentativo di evitare il diffondersi di queste malattie endemiche, salvaguardando così salute e affari.
L'esempio veneziano non è l'unico
L’antico green pass non fu in uso solo nella Venezia dell’epoca dei Dogi: successivamente, anche altre città italiane ed europee come Napoli, Trieste, Lubiana, Corfù e Amsterdam istituirono sia la "Fede di sanità", attestato di cui si doveva obbligatoriamente munire chi iniziava un viaggio via terra, sia la "Patente di sanità", analogo documento che veniva invece rilasciato dalle autorità portuali come lasciapassare per le imbarcazione. Le "Fedi di sanità" e le "Patenti di sanità" erano veri e propri passaporti sanitari che le autorità, nel timore di frodi, seguivano attentamente dal momento della stampa fino a quello della consegna a chi lo doveva compilare, e venivano accuratamente revisionati da funzionari o medici deputati al controllo sanitario.
Tra le "patenti" in mostra all’Ospedale Civile, quella rilasciata a Napoli il 5 luglio 1787 a padron Felice Mizzi «che al comando della paranza “Il Crocefisso” salpa per Civitavecchia con 7 persone di equipaggio e 5 passeggeri, tutti sani», o quella rilasciata a Corfù il 7 luglio 1828 a Padron Angelo Celendi che «al comando di "Leonida" si accinge a partire per Barletta».
esempi settecenteschi di patenti di sanità
Altre misure precauzionali
Le "patenti" erano valide in tutti i porti per l’equipaggio, i passeggeri e il carico, ma se le imbarcazioni provenivano da porti considerati sospetti o durante la navigazione la barca era stata attaccata dai corsari, non si esitava a metterli in quarantena. In altri casi, per evitare contraffazioni, le merci venivano «disinfettate alla fiamma» come è scritto nella "Fede di sanità" per merci rilasciata ad Amsterdam il 23 gennaio del 1723. Gli Stati si fidavano gli uni degli altri e c’era rispetto reciproco quindi in presenza di un attestato di sanità si aveva la certezza che merci ed equipaggi provenissero da luoghi sani, in cui non c’erano epidemie di peste. Oltre all’invenzione delle "Fedi" e delle "Patenti di sanità" si deve alla Serenissima anche un altro merito: la Repubblica fu il primo Stato a comprendere che alcune malattie, come ad esempio la peste, fossero altamente contagiose e trasmissibili da un soggetto malato a uno sano. Da qui la necessità di isolare i malati in appositi "Lazzaretti", anche questa un’invenzione tutta veneziana.
Esempi più recenti
Negli anni '90 si ipotizzò di realizzare un passaporto sanitario, ovvero un documento che conteneva la storia clinica del viaggiatore, le malattie pregresse, le allergie, le vaccinazioni effettuate. L’azienda tedesca Bayer fu precursora in questo senso, distribuendone milioni di copie da far poi compilare al proprio medico di famiglia. Oggi la pandemia causata dal Covid-19 ha reso di nuovo attuali le documentazioni del passato e, anche se la forma e il nome sono diversi, la sostanza è la stessa.